Dagherrotipi emotivi

La maternità vista da una prospettiva privilegiata, quella di una neonata di pochi giorni.

La mia proposta di lettura per voi di oggi è “Dagherrotipi emotivi”, racconto breve contenuto in ” I volti delle donne “, parte di Oro e Argento, Piccola Enciclopedia di Autori Contemporanei a cura di Vera Ambra per le Edizioni Akkuaria

 

 

Dagherrotipi emotivi

Mi sveglio e riconosco appena le cose che mi circondano. Ma la mia è solo un‘ impressione momentanea dettata forse dalle ultime ombre che ancora mi avvolgono.

So perfettamente dove sono.

Sono al centro di un enorme letto e voltando il capo posso percepire con chiarezza i tanti elementi che oramai, anche se da pochissimo, fanno parte della mia quotidianità: il comò bianco laccato, la specchiera ovale, una finestra perennemente schermata che permette a pochissima luce di filtrare all’ interno di questa camera quando ci sono anch’ io.

Sono in attesa di lei. Ne percepisco già l’odore, sento che arriverà presto, è il mio istinto che parla. Lei non può mancare perché io e lei siamo legate a stretto filo.

Mi giro lentamente e la mia guancia  si strofina delicatamente contro il lenzuolo bianco di cotone. Non sono ancora disinvolta nei movimenti e qualsiasi inversione di rotta mi costa una fatica enorme. La fatica di chi si è schiuso da poco al mondo esterno e non sa ancora remare con decisione in mare aperto. Oltre al suo odore, forte e penetrante, che ha impregnato in profondità le fibre del tessuto su cui sono stata poggiata e i miei stessi indumenti, riesco a percepire la sua voce gentile attraverso la parete. Tra pochi istanti quella porta di legno scuro si aprirà e lei sarà tutta per me. Siamo una sola cosa, io e lei: lei è parte di me e io sono parte di lei, in un legame che è vincolo di affetto e di sangue per il resto della vita di entrambe, nel bene e nel male, attraverso una quotidianità scandita nell’ ordinario e nello straordinario dal fluire incessante del tempo.

Sono abbastanza tranquilla e non è il caso di abbreviare la nostra momentanea separazione con un richiamo che lei sarebbe capace di riconoscere tra mille, nella foresta più intricata e selvaggia come in una moltitudine urbana presa da mille affanni. Di questo sono certissima, e lo sono sin da quando la mia vita ha deciso di prendere forma in lei annunciandosi con movimenti lievissimi e infinitesimali accennati con decisione e vitalità.

Attraverso il tono della sua voce riesco anche a comprendere il suo umore del momento. So individuare emozioni e stati d’ animo dai suoi gesti, dalle  espressioni silenziose ma eloquenti del suo volto, dal modo che ha di stringermi a sé  e cullarmi rendendomi parte del suo microcosmo.

In fondo lei è mia madre e io sono la sua creatura.

Io sono Immagine e Somiglianza dei suoi sogni e delle sue paure, delle sue speranze di riscossa futura e del rimpianto per tutto ciò che è oramai inesorabilmente parte del passato e non può più ritornare. Patto indissolubile e promessa di eternità concretizzati in carne e sangue, in cuore e mente. In me.

Eccola. Mi guarda per accertarsi che io stia ancora dormendo e quando ha la percezione chiara di come io non lo stia più facendo da tempo alza leggermente il tono di voce per seguitare a parlare al cellulare con qualcuno che non è qui con noi, elemento estraneo in questo istante perfetto e perfettibile ma tuttavia in perfetta armonia, all’ oggi fonte del suo star bene e quindi anche del mio. La sua voce lambisce le pareti, accarezzandole, e a volute si spande sottile nella stanza in penombra, accompagnando il suo sguardo vigile e tuttavia perso in un desiderio lontano. Ancora per un attimo, prima che lei decida di poggiare il telefono ai lati del letto che mi contiene nel  cono di luce di un abat-jour, stendendosi lentamente accanto a me. La guardo. Ci guardiamo entrambe a lungo negli occhi riconoscendoci lentamente come sempre, prima che io decida di reclamare con garbo il necessario per nutrirmi e che lei, docilmente, accetti di adeguarsi alle mie esigenze.

Succhio da lei latte, amore e senso di beatitudine, consapevole di trasmetterle altrettanto benessere. La osservo rapita e lei per un attimo socchiude gli occhi continuando comunque a stringermi a sé e a ninnarmi in una stretta che è mille canzoni insieme e forse più. Cedere alle lusinghe di Morfeo è cosa inevitabile, circondata da una tenerezza che è anche tepore e morbidezza di braccia che ti stringono premurosamente, trasmettendoti energia vitale senza avvilupparti troppo; il necessario per farti respirare con ampiezza senza soffocarti. A volte  di notte avverto il tocco gentile della sua mano sul mio petto per controllare che il mio battito, delicatissimo come ali di farfalla, ci sia ancora. Se potessi proverei già da ora a regalarle un sorriso per questo amore che è pura osmosi tra di noi, in uno scambio continuo che è gara incessante giocata in fairplay, arricchimento per entrambe, ma non ne sono ancora capace. Spero, un giorno, di poterlo fare e di potermi ricordare di tutte queste sensazioni che empiono il mio cuore spalancando di stupore continuo i miei occhi già avidi di vita.

Per ora mi accontento di fluttuare in una zona di luce e d’ ombra che mi riporta indietro, nei momenti che hanno preceduto la mia nascita, quando non c’ era alternanza alcuna di giorno e di notte e tutto era ovattato dallo sciabordio del liquido che mi conteneva e ricopriva nel grembo di mia madre, modellando al suo passo e ai suoi ritmi di veglia e sonno i miei. Con estrema ed essenziale semplicità, in una forma di dipendenza naturale come quel funicolo che mi assicurava sostentamento e che era ancora sicura alla sua vitalità e prova tangibile dell’ avermi voluta.

Ora sono nuovamente sola in questa stanza ma avverto con nitidezza la sua presenza a breve da me, in una comunione di spazio e tempo che durerà ancora a lungo, ne sono certa, né mi sfiora minimamente la paura che lei possa scomparire nel nulla. E’ il mio istinto a congiungermi biunivocamente a lei fortificando la sua vocazione di madre attraverso vibrazioni impercettibili e fortissime che  oramai da mesi raggiungono il nucleo delle nostre emotività, rinnovandolo e vivificandolo di continuo.

L’altro giorno ho sentito con chiarezza un mutamento d’ aria, una sfumatura d’ accento, un refolo di vento meno mite del solito avvertendo in lei una tristezza infinita attraverso lacrime contenute e compresse in gesti più misurati del dovuto. Mi ha stretta a sé quasi a colmare un vuoto che la scavava e non ha saputo, quella volta, sorridermi a tutto tondo.

Io l’ho guardata muta attraverso il mio velo di nebbia, confortata dal suo odore di madre e ho sussultato piano, con discrezione solidale e appena un cenno d’ insofferenza, da lei prontamente captato. Allora pervasa da nuova energia si è sforzata di essere nuovamente faro della mia esistenza facendomi nel contempo punto di riferimento imprescindibile della sua. E tutto ha riacquistato  proporzione e senso. Quelli ancestrali che legano indissolubilmente da subito il cucciolo all’ animale che l’ha generato attraverso la propria carne e il proprio sangue gratuitamente e senza alcuna riserva.

Non so se in futuro conserverò memoria di questi miei primi pensieri rubandoli al tempo e alla sua ferma propensione, nel suo poderoso balzo in avanti, a cancellare eventi e cose affiorati alla coscienza per  trasformarli in sequenze ordinate, algoritmiche e routinarie catalogate con certosina pazienza  e precisione ma prive della fragranza che le ha generate.

Ho tuttavia speranza che in avvenire questo miracolo possa ripetersi.

Magari in una creatura che porterò in grembo con vincoli di sangue e di cuore o,  se ciò non potrà accadere, nel sorriso di mille bambini incontrati per le vie del mondo. In un altro tempo, in un altro luogo o dimensione, chissà.

Rinnovando con consapevolezza questo dagherrotipo affettivo di immagini simili e angoli di prospettiva diversi generati tuttavia da medesimi sentimenti.

Ho all’improvviso un enorme bisogno di dormire. Voglio sedimentare attraverso la dolcezza e la immaterialità di questi miei primi momenti di vita queste esperienze per palesare un giorno la mia essenza, a oggi segretissima e misteriosa ma tuttavia presente e  già delineata in nuce, di figura compiuta di donna.

Ma non è ancora il tempo, e il mio cammino è al momento ammorbidito dal passo accorto e  lungimirante di mia madre che spiana per me, sua figlia, qualunque impercettibile  asperità del sentiero.

Saprò trasformarmi da crisalide in farfalla leggera che si disfa del suo bozzolo setoso con entusiasmo, con fatica. E’ scritto nel mio destino. Percepito, sognato, immaginato da entrambe con lievità pensosa, in fiduciosa attesa.

In una cornice che adesso è profumo di borotalco, luce soffusa e musica lieve di carillon ma che sarà anche, in avvenire, odore di brezza marina rigenerante e fresca, sottile, oppure onda vigorosa di maestrale, greve  e umida di salmastro all’ alba imperiosa del giorno che con tenacia si rinnova. *

Lucia Guida

Dagherrotipi emotivi in A.A.V.V.,” I volti delle donne “, Catania, Edizioni Akkuaria, 2012

 

i volti delle donne

Goodbye April

Aprile è stato un mese di grande costruttività e produttività, permettendomi di realizzare moltissime cose.

Con gli amici del F.I.A.E. ho portato a termine la stesura semidefinitiva di “Luglio”, una puntata di sapore noir parte del romanzo Dodicidio edito nella collana POP libri in giugno dalle Edizioni La Gru e che è già visibile in grandi linee sul sito di questa casa editrice padovana.

Ho, poi, partecipato domenica 14 con il mio racconto edito Bella bella bella a un caffé filosofico de Lo spazio di Sophia, Associazione culturale per le pratiche filosofiche di Pescara. Abbiamo parlato di estetica, di gestione consapevole e non della propria corporeità, di equilibrio psicofisico e di molto altro con un particolare accento a ciò che l’aspetto fisico spesso riveste nella società odierna, fortemente legata all’immagine, vera o presunta di noi stessi, da noi  proiettata all’esterno.

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Dopo la bella intervista a cura di Laura Costantini per Scrivendo Volo ho avuto finalmente la possibilità di vedere anche nel web sul sito di Rosa TV, emittente televisiva digitale abruzzese, la mia “conversazione letteraria” con Catia Napoleone, scrittrice e conduttrice, con cui ho parlato di Donne e femminilità prendendo spunto dai racconti del mio “Succo di melagrana”.

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Sabato 27 aprile ho partecipato alla premiazione del Concorso Letterario Nazionale “Città di Grottammare”  come finalista, 4° posto ex-aequo, con un mio racconto breve inedito.

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Domenica 28 aprile ho, infine, presentato presso l’Associazione Culturale OliS il libro di Simone Angelucci e Alessandro Sonsini “La morra”, incisivo spaccato di quella parte della società agrorurale abruzzese che rischia di scomparire se con rinnovata consapevolezza comunità e istituzioni dei paesi pedemontani e montani del comprensorio della Majella non prenderanno seri provvedimenti lavorando in stretta sinergia.

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Con esercizio di estrema pazienza e di buona volontà sto continuando l’editing del mio romanzo di prossima pubblicazione sempre con la Nulla Die e da una decina di giorni con rinnovata motivazione, grazie alla disponibilità di Marian Fortunati,  pittrice en plein air americana che con estrema generosità ha accettato di farmi utilizzare un suo dipinto per la copertina del mio nuovo libro.

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La melagrana con la sua traccia vermiglia, discreta e persistente   cederà presto il posto a una fragranza intensa e altrettanto durevole, quella del glicine in fiore, al centro di un romanzo breve che parlerà di amore, amicizia, rispetto per se stessi e scelte di vita.
Argomenti importanti e veri tratti ancora una volta da vicende di ordinaria amministrazione perché non è detto che dalla quotidianità più spicciola non si possa imparare e talvolta anche sognare.

Nell’immediato ancora tanta strada da percorrere. In attesa, a fine maggio, di passeggiare con lievità sulla strada della routine a tinte rosa con la partecipazione delle mie storie evergreen di donna al primo festival dell’eccellenza femminile abruzzese Rosadonna che si terrà a Pescara, nel cuore storico della città grazie all’intraprendenza e alla verve di Cinzia Maria Rossi.

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Scrivere Donna è bello

“Progetto Scrivere Donna” è un’idea di Laura Costantini, giornalista RAI e scrittrice, per Scrivendo Volo, spazio web di Historica Edizioni dedicato agli amanti della scrittura e della lettura.

Il motto di quest’iniziativa, nata nel novembre 2012 su Facebook recita testualmente:
” Le donne e la scrittura. Le donne e il web. Le donne e il rapporto con gli uomini. Le donne e la maternità. Le donne hanno voglia di raccontarsi. Ascoltiamole. “.

La mia proposta per voi di oggi è la bella intervista di Laura alla sottoscritta, in cui trovano posto riflessioni tecniche di tipo scrittorio ma anche pensieri e notazioni sulla quotidianità.

Buona lettura

 

SCRIVERE DONNA 28/ Intervista a Lucia Guida, di Laura Costantini

Oggi è il turno di Lucia Guida, scrittrice che non esita ad affermare che: “in Italia essere donne non è sempre chiave di accesso preferenziale nella scrittura come nella quotidianità più… Ti basti sapere che una volta mi è capitato che un conoscente mi chiedesse se il mio libro intitolato “Succo di melagrana” vendesse bene come libro di ricette. Sono sicura che il personaggio in questione fosse assolutamente in buona fede.”

– Quando hai deciso di scrivere e perché?

R:  Ho iniziato a scrivere da bimba continuando a farlo con una certa passione fino all’adolescenza. Poi la vita mi ha condotta per altre strade in cui c’era davvero pochissimo posto per la scrittura.  Ho ripreso a farlo tardissimo, nel 2007, anno in cui ho cercato di mettere a punto molte cose della mia vita. All’inizio in un  blog della community di “libero”, un po’ per gioco e forse anche per ritrovare la me stessa di un tempo; riprendendo pian piano la mano e scoprendo con piacere che  le mie storie potevano interessare anche altri.

 

– Che tipo di libri leggi normalmente?

R: Non ho generi letterari preferiti; mi piace leggere di tutto senza pregiudizi di sorta e senza lasciarmi attrarre da ciò che è trendy a tutti i costi. Volendo e potendo scegliere, preferisco non comperare libri fantasy, pulp e noir.

 

– Hai mai preferito un libro a un altro per il genere dell’autore?

R: Se per genere dell’autore intendi orientarmi nella lettura preferendo un autore che amo (e quindi anche la sua originalità scrittoria in certo qual senso)  ad altri, ti risponderò che a volte mi è capitato di essere un po’ partigiana, pur non pendendo sempre dallo stesso lato. Per me leggere cose diverse è anche un modo, tra l’altro piacevolissimo, di aggiornarmi nel mare magnum dell’editoria odierna, in  equilibrio costruttivo tra l’utile e il dilettevole.

 

Hai mai avuto la sensazione che il tuo essere donna potesse, in qualche modo, ostacolare/favorire la tua passione per la scrittura?

R: Qualche volta mi è capitato e lo dico con semplicità, come notazione

di cronaca. Diciamo che da noi in Italia essere donne non è sempre chiave di accesso preferenziale nella scrittura come nella quotidianità più spicciola se al primo posto metti la testa piuttosto che altro. E qui mi fermo, prima di diventare maggiormente “caustica”, come direbbe mia figlia. Ti basti sapere che una volta mi è capitato che un conoscente mi chiedesse se il mio libro intitolato “Succo di melagrana” vendesse bene come libro di ricette. Sono sicura che il personaggio in questione fosse assolutamente in buona fede.

 

– Ritieni esista e sia individuabile una scrittura al femminile?

R: Perché no? In fondo si parla bene e compiutamente di ciò che si conosce altrettanto bene. A patto che ciò, tuttavia, non diventi alla lunga una sorta di gabbia dorata da cui sia difficile volar via.  Sperimentare approcci scrittori diversi potrebbe in tal senso evitare il rischio che come autrici ci si fossilizzi su tematiche monotono. Ad ogni modo l’universo femminile è talmente complesso e variegato da costituire sempre, almeno per me, un terreno fertilissimo d’ispirazione.

 

– Ritieni esista un pregiudizio nei confronti di un’autrice da parte dei lettori uomini?

R: Sarebbe ipocrita negare il fatto che nell’acquisto di un’opera, specialmente nel caso di un autori esordienti/emergenti, ci si orienti da un verso piuttosto che da un altro. Differente è il caso di scrittori e scrittrici affermati, credo ci siano meno spartiacque da considerare. Si compra quel determinato libro a prescindere dal fatto che l’abbia scritto un lui o una lei. La bravura e il talento non hanno mai nuance di colore predeterminate.

 

– Hai mai avuto la sensazione di una preclusione editoriale nei confronti delle donne?

R: La domanda è interessante e, se mi consenti, “ a doppia uscita ”. Se ci si lascia influenzare dal fatto che la scrittura debba necessariamente essere di genere ( ne stavamo parlando giusto qualche domanda fa! ), c’è da considerare come in maggioranza il popolo delle lettrici sovrasti quello dei lettori. E, quindi, in un’ottica di mercato potrebbe sembrare che le autrici siano in tal senso leggermente più avvantaggiate rispetto agli autori. A patto, tuttavia, di non ricadere nell’empasse di cui sopra: cristallizzarsi, cioè, in una tipizzazione letteraria che non aiuta certamente a crescere. Di sicuro in passato uno pseudonimo au masculin aiutava a emergere, se pensiamo a una George Sand  o a una George Eliot. A volte mi è venuta la tentazione di verificare se a oggi la situazione sia rimasta invariata oppure no, ma poi non  l’ho fatto: anche in tempi come i nostri, non sempre favorevoli in generale all’accoglimento di prospettive al femminile nei campi più disparati, sceglierei senz’altro di rinascere donna.

 

– Storie d’amore nei romanzi, pensi sia una roba da donne?

R: L’amore, che ci piaccia o no,  fa parte dell’esistenza  e non è sempre connotato da un happy ending. Parlarne in un romanzo o in racconti brevi con naturalezza è semplicemente prendere atto, nel bene e nel male, della forza di questo sentimento che spesso incide sulle nostre scelte di esseri umani.

 

– Esiste un pregiudizio nei confronti della cosiddetta narrativa rosa? E, se sì, come si manifesta?

R: Della narrativa rosa come genere letterario minore o come una specie di non genere, almeno a detta degli autori più seriosi? Il pregiudizio c’è e c’è sempre stato, portando spesso a snobbare autrici e autori che vi si dedicano stabilmente. Sta di fatto che alcuni ci riescano davvero bene; con una correttezza formale e intrecci ben congegnati, molto meglio di tanti scrittori “impegnati”, spesso deludenti nelle loro soluzioni scrittorie.

 

– È possibile, a tuo parere, una collaborazione tra scrittrici così come si configura tra scrittori nella creazione di movimenti letterari (New Italian Epic o TQ, per esempio)?

R: Io credo che la tanto sbandierata assenza di solidarietà femminile sia un pretesto per rafforzare stereotipi  in molte realtà sociali, tra cui quella del nostro paese, e che le donne possano fare grandi cose insieme. Dovremmo, forse, lavorare su questo tipo di cultura, soprattutto sull’aspetto di inclusione che l’appartenenza a gruppi o correnti letterarie presenta, per affinarlo al meglio. Magari considerando l’azione di stimolo le une per le altre, rappresentata dalla condivisione di linee comuni di pensiero nella creazione di un’opera letteraria. Una prospettiva raggiungibile non in  tempi brevissimi ma non impossibile.

 

Molte donne lamentano la difficoltà di dedicarsi quanto vorrebbero alla scrittura e i sensi di colpa per la necessità di trascurare altre cose. Tu come ti poni?

R: Non faccio eccezione collocandomi spesso sulla stessa lunghezza d’onda di tantissime donne come me divise tra mille situazioni. Nel mio progetto esistenziale ci sono due figli e un lavoro che al momento è la mia fonte di sostentamento principale. Posso, tuttavia, contare sulla comprensione dei miei ragazzi: non mi hanno mai fatto pesare la mia passione per la scrittura né il fatto di improvvisare un pranzo o una cena all’ultimo momento perché in quel frangente avevo voluto dare la precedenza a un momento di creatività sostanziosa.

 

– Cosa ne pensi dei fenomeni editorial-marketing degli ultimi anni e della fruizione soprattutto femminile che li caratterizza?

R: Mi viene in mente la pluricitata affermazione di Ogilvy, che molto britannicamente testualmente recita “Non contare le persone che raggiungi, ma raggiungi le persone che contano”. Ora io credo che nella fenomenologia del marketing editoriale non sempre contino davvero “ le persone che contano”. Che è capitato in più di una circostanza di propinare al pubblico femminile roba di qualità dubbia, sottovalutandone la capacità critica. Pensando che la stragrande maggioranza delle donne fosse in tal senso “di bocca buona”. Un preconcetto desolante oltre che profondamente discriminante.

 

Laura Donnini, nuovo direttore generale Edizioni Mondadori, ha annunciato che ci sarebbero molte autrici a lavoro per sfornare trilogie erotiche in linea con la moda soft-porn o mom-porn. Come ti porresti davanti alla proposta di entrare nel ciclo produttivo?

R: Da una posizione oltranzista di rifiuto, decisamente. Una notorietà conquistata a tavolino mi riporta alla scena orwelliana delle impiegate del Minicult, accuratamente  scelte per elaborare romanzetti porno farciti di sesso  a gogò e di un’infinità di luoghi comuni. Preconfezionati per “tenere buona” la gente. Essere in busta paga seppur di una grande casa editrice, orientata verso il soft-porn e/o il mom-porn,  poco vale se il prezzo da pagare è quello di scrivere di qualcosa che non senti. I vestiti adattati, si sa, finiscono presto con l’essere dimenticati nel fondo di un armadio. A costo di sembrare snob preferisco scelte editoriali differenti e di qualità, magari portate avanti da piccole ma dignitose case editrici NAP.

 

– Pubblicare purché sia è un principio da perseguire?

R: Se hai voglia di costruirti un curriculum letterario dignitoso non credo sia questa la strada da seguire. Ed è questa la ragione per cui consiglio a chi ha il desiderio di vedere “nero su bianco” ciò che ha scritto di rivolgersi a case editrici non a pagamento. La selezione è assicurata a priori.

 

– Come ti poni davanti al dilagare dei fenomeni editoria a pagamento, print on demand o self-publishing?

R: Credo di aver detto tra le righe cosa io pensi degli EAP. Il discorso è lievemente diverso per  il print on demand o il self-publishing. Anche in questo caso tutto va ricondotto a una questione di priorità: gli autori che si avvalgono di questi canali alternativi dovrebbero chiedersi perché hanno deciso di pubblicare e avvalersi, comunque, della consulenza di un buon editor o, meglio, di un’agenzia letteraria a cui demandare gli aspetti pratici di pubblicizzazione e propaganda dell’opera. Esistono, poi, problemi ancora più concreti come quello della distribuzione. Se ti autopubblichi ( e sto prescindendo dalla qualità vera o presunta dell’opera ) devi poter far circolare quanto hai scritto oltre a regalarlo ad amici, parenti o conoscenti . Un libro creato e stampato con tutti i crismi non può finire in cantina tra oggetti obsoleti e inutilizzati.

 

– Cosa ritieni che possa far la differenza nell’attirare un lettore: copertina, titolo, autore personaggio, passaggio televisivo o D’Orrico che si innamora di te?

R:  Potrei sempre risponderti che D’Orrico non è il mio tipo ma che diversamente … Scherzi a parte sono convinta che tutto contribuisca alla buona riuscita della pubblicizzazione e propaganda editoriale:  di pancia e con consapevolezza retroattiva punterei su una copertina capace di sedurre il potenziale lettore di primo acchito oltre a una quarta di copertina essenziale ma esaustiva, s’intende. I passaggi televisivi e le presentazioni dal vivo dell’opera sono, inoltre, estremamente importanti per l’effetto di ricaduta che ne deriva sull’autore:  ascoltarlo parlare può predisporre quanto meno all’acquisto del libro. Poi sta a lui fare buon uso della fiducia concessagli dai  lettori elaborando prodotti editoriali di buona qualità.

 

Quali tuoi buoni propositi salterebbero davanti a un improvviso successo?

R: Mi piacerebbe essere un po’ più frivola nelle cose più spicciole della quotidianità. Al momento non sempre posso concedermelo.

 

– Sei autrice del bestseller del momento, tradotta nel mondo, milioni di copie: togliti uno o più sassolini dalla scarpa.

R: Odio i sassolini nella scarpa, metaforicamente parlando e no. Forse proverei a gestire nel modo più normale possibile il mio successo, sperando di farne un uso ottimale. Per il resto io appartengo alla categoria di coloro che, seduti, aspettano con pazienza in riva al fiume.

 

– Scrittore/scrittrice preferito/a vivente e motivazione.

R: D’emblée?  Tracy Chevalier . Per avermi riconciliata col romanzo storico trattando con lievità e in modo estremamente moderno, contemporaneo, tematiche importanti. Descrivendo la vita così com’è, senza contorsioni o acrobazie. La quotidianità è, a mio avviso, fatta di persone comuni capaci di trasmetterci comunque messaggi  di straordinaria intensità partendo da cose apparentemente insignificanti come, ad esempio, un fossile ritrovato su una spiaggia o un mix di sostanze ridotte in polvere per la coloritura di un quadro. Blake avrebbe detto “ to see a world in a grain of sand”: una prospettiva visiva privilegiata  che dovrebbe essere appannaggio di ogni buon scrittore.

 

– Scrittore/scrittrice vivente che non riesci ad apprezzare e perché.

R: Posso avvalermi della facoltà di non rispondere?

 

– Parlaci del tuo ultimo lavoro e fornisci un motivo per cui dovremmo leggerlo.

R: Al di là di piccole ma significative collaborazioni in collane di autori vari, il mio ultimo lavoro da solista in ordine di tempo pubblicato è la silloge di racconti “Succo di melagrana, Storie e racconti di vita quotidiana al femminile” ed è un libro per tutti. E’ stato scritto nell’arco di tre anni e rappresenta in sintesi il mio cammino di crescita  scrittoria a oggi. E’ un’opera prima e, per tale ragione, una  dignitosa prova di volo. Prende spunto da una poesia dal titolo omonimo che ne costituisce il prologo e copre un arco temporale di circa settant’anni, dagli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale sino ai giorni nostri. Pubblicato a inizio del 2012 dalle edizioni Nulla Die , una piccola casa editrice indipendente NAP siciliana, è nelle mie intenzioni  il mio personale trait d’union per due mondi, quello della sensibilità femminile e maschile,  molto più vicini di quanto non si pensi. Esattamente a un passo l’uno dall’altro. Parla di donne forti capaci di scelte coraggiose: il mio messaggio di positività e di riscatto  per evidenziare l’infinita progettualità femminile che è in ciascuna di noi. Valiamo tantissimo anche se spesso lo dimentichiamo. Il mio ultimo lavoro in ordine di tempo è, invece, un romanzo attualmente in fase di editing in carico alla mia casa editrice, la Nulla Die. Della trama non dico nulla per scaramanzia anche se, per chi mi conosce bene, non sarà difficilissimo indovinare dove andrò a parare anche per questa volta …

 

Puoi fornirci un link che rimandi alla possibilità di acquisto? Grazie

R: Il libro è in vendita nei principali store online come Amazon, Ibs, libreria universitaria.it, lafeltrinelli, ecc. Il link delle edizioni Nulla Die è il seguente:

http://nulladie.wordpress.com/, a disposizione anche per gli ordini privati

Un grazie di cuore a te per la tua pazienza.

 

 

NB: L’intervista è disponibile in versione integrale qui

 

 

 

 

 

Dipinto di Lionello Balestrieri ( 1874 – 1958 )

 

 

 

 

 

Vita da prof

Ho scritto assai di rado racconti incentrati sulla mia categoria lavorativa, quella degli insegnanti. Probabilmente perché un processo creativo narrativo è anche, per certi versi, fuga dalla quotidianità più spicciola.

“Sinfonia d’autunno” è la storia di una prof che sta per congedarsi dai suoi alunni e dalla scuola in cui ha insegnato a lungo per intraprendere volontariamente un’esperienza lavorativa all’estero, in Irlanda. Il viaggio e il momento del distacco, nuclei tematici alla base di questo testo, diventano pretesto per sottolineare come dai rapporti interpersonali non si riesca mai a  sfuggire del tutto. E come in ogni desiderio di cambiamento e/o in ogni partenza sia contenuto in nuce il desiderio inconscio di fare ritorno, rappresentato dalla sottile malinconia di abbandonare cose e situazioni note.

Sinfonia d’ Autunno

Ottobre,  pensò con un impercettibile sospiro, annusando voluttuosamente l’aria che si offriva senza remore al suo olfatto affinato, serrando al mento il bavero dell’impermeabile. Ai suoi occhi si offrivano  le mille screziature cinerine di quel cielo autunnale in cui nuvole sfilacciate si rincorrevano facendo pendant coi mulinelli di foglie di platano accartocciate brunite, lì per il viale che portava alla scuola in cui insegnava. Un venticello beffardo la spettinò impietosamente  giocando a moscacieca ma lei non se ne curò. Si sentiva pienamente a proprio agio in quella giornata figlia del tempo e della stagione cui apparteneva.

Era in orario perfetto.  Poteva, quindi, permettersi di indugiare per la strada camminando a passo lento sotto il peso della borsa di tela a spalla che conteneva i ferri del mestiere: testi scolastici, un’agenda fiorata che la aiutava a ricordare con lievità maggiore i suoi appuntamenti lavorativi, un paio di pacchi di compiti dei suoi alunni diligentemente corretti, pronti per essere consegnati loro prima della sua partenza, prevista per quel fine settimana.

Nell’atrio dell’istituto la solita operosità di ogni mattina a inizio  giornata:  i ragazzi del prescuola appollaiati sui gradini della scalinata che conduceva al piano superiore, collaboratori affaccendati nel sistemare le ultime cose prima dell’incipit quotidiano, alcuni colleghi in ordine sparso tra la fotocopiatrice, il tavolinetto col registro degli avvisi, la sala docenti. Salutò tutti col timbro chiaro di sempre, attardandosi in uno scambio di battute con l’uno o con l’altra, pronta anch’essa per lo start. All’esterno, al di là della vetrata che dava sul cortile d’ingresso, ora brulicante a dismisura, pareva quasi che stesse per finire il mondo e aveva anche cominciato a piovere con decisione. Si chiese come sarebbe stato avere pioggia a colazione, pranzo e cena in quella piccola università a sud dell’ Irlanda in cui aveva deciso di continuare a insegnare l’Italiano; e se tutto il verde sconfinato di cui avesse potuto godere, l’avrebbe compensata della calura del sole e dei lunghi pomeriggi passati al mare a impigrire su una sdraio azzurra, attendendo che si facesse poco a poco sera.

Il trillo persistente e leggermente fastidioso segnò inequivocabilmente lo scoccare della prima ora di lezione. Con pazienza si trasse da parte, le braccia strette al petto, in un angolo non lontano dalla rampa che portava al primo piano, aspettando con calma che la fiumana di ragazzi vocianti la oltrepassasse smistandosi ordinatamente per le aule disseminate lungo  il corridoio.

Sul pavimento a poca distanza da lei, una foglia riuscita incredibilmente a sopravvivere al passo frettoloso di adulti e adolescenti, caracollò ai suoi piedi. D’istinto la raccolse per evitarle una fine peggiore, tenendola con delicatezza per il picciolo. C’era ancora qualche sfumatura dell’originario verde che l’aveva contraddistinta per almeno un paio di stagioni. Almeno sino a quando lo stesso vento che aveva giocherellato sbarazzino con la sua sagoma frastagliata nella bella stagione non aveva deciso di  aveva strapparla con rudezza inaspettata al ramo che l’aveva nutrita, sospingendola lontano da esso. Prima di trovare pace, miracolosamente intatta in tutta la sua perfezione, nello scrigno delle sue mani.

Si riscosse e si affrettò a raggiungere la classe, una terza, in cui per quel giorno aveva programmato quello che soltanto un paio di decenni prima i suoi insegnanti avrebbero definito tema e che in una sorta di balletto innovativo era diventato con nuova e pomposa terminologia verifica del lavoro svolto insieme ai suoi studenti. Ignorando la tecnologica linearità della LIM, si diresse verso la lavagna di ardesia che la fiancheggiava e, brandendo con dolcezza un pezzo di gesso bianco e tondeggiante, vergò sinuosamente le tre tracce che aveva scelto di proporre ai suoi alunni, mentre questi con insolita calma prendevano posto e si predisponevano a svolgerne una,  vocabolario e foglio protocollo alla mano, all’apparenza stregati dalla sua risolutezza o forse ancora sotto l’ effetto di un brusco risveglio mattiniero.

Girovagando tra i banchi si assicurò che tutto procedesse nel modo migliore, annotando mentalmente le assenze prima di trascriverle sul registro di classe. Poi assunse la sua postazione preferita: sguardo ai suoi ragazzi, in piedi e di spalle a una delle tre ampie finestre che davano luce all’aula, consentendo finalmente ai suoi pensieri di fluire altrove convogliandosi più o meno compostamente sulle ultime incombenze che avrebbero preceduto la sua partenza. Alla casa di cui avrebbe serrato con delicatezza le imposte, affidando la cura dei suoi gerani zonali a una vicina fidata, che ne avrebbe monitorato silenziosamente il letargo invernale e poi il tripudio che sempre seguiva alle prime avvisaglie primaverili trasformando il suo terrazzo in un’esplosione di rosso carminio e di verde intenso appena screziato di grigio. Ai due trolley aperti e riempiti a metà sul divano dello studiolo cercando di prevedere ciò che avrebbe potuto rivelarsi utile a una latitudine così dissimile da quella che sino ad allora era stata centro della sua esistenza. Alla cena di arrivederci che alcuni  amici avevano preteso di organizzare quella sera per lei. L’ avrebbero festeggiata intonando canzoni in rima e Paolo avrebbe sicuramente dato seguito alla sua vena artistica declamando poesie estemporanee che parlavano di addii e di ritorni certi. Perché lei sarebbe di sicuro tornata alla fine di quella che non era fuga da un presente incastonato in una routine rassicurante ma forse troppo scontata,  ma piuttosto voglia di fare e di reinventarsi con la consapevolezza di appartenere comunque a un luogo ben delineato fatto di terra, aria, acqua e fuoco. La città in cui era vissuta per più di un ventennio, che l’aveva adottata all’indomani di un matrimonio che non aveva avuto fortuna e in cui aveva  tuttavia deciso di continuare a vivere, sposandone il clima burbero determinato dal fiume e dal mare in eterna simbiosi e dall’Appennino lontano ma non abbastanza per non imporre la propria presenza massiccia a cose e persone.

Sbirciando con discrezione l’ orologio da polso constatò sorpresa che le due ore erano quasi al termine. Raccomandò alla classe di affrettarsi a consegnare e altrettanto febbrilmente cercò di fare mente locale a quanto nell’ora libera successiva avrebbe prospettato alla supplente che avrebbe preso le sue classi. Con scrupolosità aveva riempito facciate e facciate di annotazioni sui suoi ragazzi, parlando dei loro punti di forza e della debolezza di adolescenti in crescita, in cammino lungo sentieri spesso privi di indicazioni chiare. Figli di genitori  che sovente si dimostravano frettolosi passeggeri di treni in corsa lungo tragitti fatti di poche fermate, abituati a comunicare con estrema sommarietà piuttosto che provare a creare tassello dopo tassello  relazioni affettive efficaci che non rischiassero di sbriciolarsi come foglie d’ autunno sotto la camminata di passanti noncurante. Pensò ai tanti Daria, Michele, Blerina, Francesco armati di zainetti semivuoti, vestiti talvolta in modo troppo leggero per le intemperie che avrebbero affrontato. Alle loro vulnerabilità sempre pronte a riaffiorare in sorrisi che stentavano a comparire o che, viceversa, lo facevano in eccesso; ai tanti non detti per timore di parlare troppo, ai sentimenti tenuti troppo a freno per paura di soffrire, mentre ne raccoglieva i compiti che avrebbe di lì a poco corretto cercando di zigzagare, quel pomeriggio a casa, tra slang e formule espressive immediate e improvvisate, per riportare alla superficie quelle briciole di cuore dissimulate che pure c’erano e gridavano silenziosamente di essere riconosciute come tali. Pensò anche all’ “ A presto “ che avrebbe loro tra qualche giorno indirizzato: breve e intenso come solo le promesse concrete sanno essere. Un filo lanciato in avanti in attesa di essere con forza riannodato, augurandosi che le sue ragioni fossero da loro comprese e accettate e non vissute, viceversa, come frettoloso abbandono.

Con sveltezza prese le sue cose per andar via  avvolgendo tutti con lo sguardo in un abbraccio collettivo sfumato in un impercettibile attimo di incertezza, celato da un respiro profondo. Sulla cattedra la foglia autunnale col suo barlume di vitalità appena spolverizzata di polvere bianca rimase appoggiata sul registro dalla copertina blu in cui molto ancora delle giovani vite che racchiudeva sarebbe stato annotato e narrato. Con speranza e con  grinta rabbiosa infinite. Mai con rassegnazione.

L. Guida

photo by Medea

Springtime

Da poche ore siamo ufficialmente in primavera. E’ tempo di rinascita, di bilanci leggeri, di apertura verso un cielo oggi pieno di nuvole cinerine  e di sprazzi disinvolti di sole.

Una mia poesia per celebrare questo tempo denso di aspettative che promette bene per andar via senza voltarsi indietro

Ode alla Primavera

 

Sono grata ai petali di ciliegio,

in libera e impalpabile caduta,

di aver coperto le angustie

della mia giornata.

Le piccole ma cocenti

delusioni,

l’attimo sfuggito

alle mie dita

avide di vita;

i buoni propositi

mutati

in rassegnazione

piana, pacata.

Il sole che stenta

ad affacciarsi

attraverso questa coltre

grigioazzurra e dissimulatrice.

Le mie aspettative

che hanno bisogno di rugiada fresca

e di un nuovo mattino.

La mia speranza

racchiusa in un rosa

delicato e persistente,

oggi fiore in boccio

domani frutto goloso

e succulento.

Lucia Guida

photo by weheartit.com

ADOTTA UN EDITORE – INTERVISTA AD ALESSANDRA GAGGIOLI, DIRETTORE EDITORIALE e socio fondatore di FARNESI EDITORE .

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Le case editrici costituiscono un passaggio importante e fondamentale nel “viaggio dell’eroe” di ciascun aspirante scrittore. Specialmente quando un autore ha voglia di debuttare senza incappare nelle pastoie dell’editoria a pagamento.

Nel post di oggi ho il piacere di presentare la Farnesi Editore di Prato, rigorosamente NoEAP, per il tramite della sua direttrice editoriale Alessandra Gaggioli. L’intervista, che qui posto senza soluzione di continuità, è parte dell’iniziativa “Adotta un Editore” proposta dalle versatili e dinamiche bariste di Starbook Coffee, sito e pagina Facebook dedicati a iniziative, novità e notizie scrittorie a 360°.

Buona lettura

Farnesi Editore è una giovane casa editrice No EAP toscana nata nel gennaio del 2012 con sede a Prato. Nel suo progetto editoriale, esplicitato con essenzialità ma anche con un’estrema chiarezza d’intenti nel sito di riferimento, mi colpiscono due frasi, a mio avviso molto significative: il fatto che la Farnesi sia per la “valorizzazione del patrimonio letterario italiano inedito”e la sua determinazione di “portare al pubblico autori che sappiano fare letteratura.  Due mete estremamente ambiziose che mi incuriosiscono e che mi spingono ad approfondire la conoscenza di questa nuova realtà editoriale con un’intervista  a tutto tondo ad   Alessandra Gaggioli, architetto, direttrice editoriale  e supervisore della parte artistica per la Farnesi nonché sua socia fondatrice. Partiamo subito con le domande:

1)      Nella brevissima presentazione digitale di voi sul sito della Farnesi colpisce l’impegno a pubblicare opere di qualità. Oltre a questa puntualizzazione che premia un lettore attento ed esigente nel mare magnum dell’editoria italiana odierna, quali sono i punti cardine del vostro progetto? Quale in breve la Mission della Farnesi per chi sta iniziando a conoscervi adesso?

Farnesi nasce in un periodo difficile per l’editoria, poteva essere una tra tante case editrici minori, eppure la certezza che nei periodi di difficoltà si producono  le cose migliori ci ha spinto a tentare questa avventura. Siamo cinque socie, di cui solo due scrittrici, io (con lo pseudonimo Federica Gnomo Twins) e la signora Maria Lucetta Russotto, tutte animate dalla passione per la lettura e convinte che non bisogna andare a scovare all’estero bravi scrittori. In pratica l’idea base è voler dare spazio alle penne nazionali, agli esordienti, e farci coinvolgere dagli autori in progetti  che possono apparire “vintage” ma che in realtà sono altamente innovativi. Il tutto con una veste grafica curata che dia il giusto risalto all’opera.

Ad esempio abbiamo pubblicato come primo autore uno scrittore di favole, un papà, che sta avendo un grandissimo successo: ero convinta che la favola non fosse solo per bambini, ma potesse arrivare anche l’animo degli adulti. Il libro Melodia infatti tocca  molte corde e molti cuori di ogni età, e l’autore Armando Maschini sta ricavandosi un grande spazio nel panorama letterario “fiabesco”, come dice lui.

2)      Farnesi Editore è manifestamente per la pubblicazione non  a pagamento. In un mercato editoriale variegato come quello italiano in cui spesso “pagare per lavorare” e cioè sborsare cifre esorbitanti per essere pubblicati è un vezzo ancora piuttosto diffuso, quali sono le difficoltà incontrate da un piccolo editore che punta su poche opere selezionate da una prospettiva diametralmente opposta?

Il vero ostacolo per un piccolo editore passionale come noi, non è trovare bravi collaboratori, o lavorare e investire su un autore in cui crediamo, siamo imprenditrici e anticipiamo sempre tutte le spese.  La tragedia grossa è la  distribuzione capillare, viziata da richieste di percentuali altissime( 65%) da parte dei distributori e la riscossione lentissima del venduto(anche un anno e mezzo). Questo porta a dover ponderare ogni uscita con molta attenzione, ma noi non chiederemo mai contributi all’autore, noi siamo l’editore: il rischio è solo nostro.

3)      La vostra proposta editoriale si incentra sulle quattro collane “Verdemela”, “Peperosa”,  “Giallostorie”, “Biancocarta”. Puoi parlarci in breve di ciascuna di esse?

“Verdemela” è nata per prima, e si rivolge ad adulti e ragazzi che amino la freschezza del fantastico. “Biancocarta” raduna il varia, cioè ricette, attualità, esoterismo o esperimenti misti come il nostro secondo libro “Non voglio vedere verde” di Giada Briziarelli  e AA.VV, in cui si alternano ricette e fiabe che hanno per protagonisti gli ortaggi. “Peperosa” vuole essere una collana di commedie rosa, divertenti, frizzanti, ma non banali, vorremmo affrontare temi anche spinosi ma con semplicità e arrivare a un pubblico vasto.” Giallostorie”, come dice il nome, accoglie il giallo, le penne italiane, maschili ma sempre più spesso femminili,  intense, introspettive, addirittura venate di casalingo.Stiamo per uscire anche con la narrativa: un autore sardo molto bravo. Il nome della collana è in fieri. Insomma ci piace scovare belle storie, anche di vita vissuta, che abbiano la forza del quotidiano o la magia delle piccole cose.

4)      La distribuzione è un punto nodale per una piccola casa editrice dal momento che una propaganda mirata, seguita da una buona pubblicizzazione, danno spesso risultati sorprendenti. La Farnesi come si pone in quest’ottica? Preferisce vendere i propri prodotti librari attraverso il proprio sito, proporsi direttamente in libreria oppure affidarsi agli store on-line?

Come ho accennato, e dopo aver preso contatti anche con la distribuzione nazionale, ci stiamo orientando per una rete capillare di librerie fiduciarie. Piattaforme on-line e vendita diretta dal sito attrezzato con  e-commerce. Preferiamo spendere in pubblicità che pagare solo i distributori. Un libro solitario in ogni libreria non ottiene molti risultati … meglio qualche pagina di giornale.

5) Farnesi Editore sponsorizza da quest’anno il Premio Letterario città di Prato. Puoi parlarci di questa esperienza?

Il comune di Prato ci ha proposto  di legare il nostro concorso “Il tuo libro in libreria” alla città  e abbiamo accettato con entusiasmo. Questo ci  permetterà una bella manifestazione di premiazione per l’autore e l’opera prescelta. Non posso dirvi di più in quanto è la direzione marketing che si occupa di questo.

6) Pubblicazioni cartacee o digitali? Quali le prospettive e i margini di crescita e/o diversificazione della Farnesi in un’epoca in cui e-book, kindle, ipad e quant’altro sono oramai parte del vocabolario d’uso di buona parte del pubblico dei lettori?

Per ora noi operiamo in carta e abbiamo una collaborazione con la romana Dalim per la creazione e la diffusione su ogni piattaforma e in ogni formato di tutte le nostre opere, per cui l’autore è coperto anche dal punto di vista digitale in tutta serietà.

7) Una piccola casa editrice indipendente è spesso al centro delle aspettative di aspiranti scrittori esordienti; cosa consiglieresti a un autore in cerca di pubblicazione?

In generale dico di non mollare mai e cercare la casa editrice adatta alla propria opera, nel frattempo  tenere bene aperti gli occhi. Spesso un’opera non adatta  per un periodo lo sarà tra due o tre anni, oppure quello che non piace a x piace a k,  insomma bisogna essere anche  bravi venditori di se stessi. E una volta entrati in una squadra dare il meglio per collaborare ed emergere. Ricordarsi sempre che la stampa del libro è solo il primo passo, il lavoro vero viene dopo.

8) Parlando in generale, al momento ritieni che ci siano dei generi letterari che tirano di più nel mercato dell’editoria? Ammettendo e non concedendo che uno scrittore esordiente possieda in tal senso una certa versatilità e che sia in grado di spaziare dal fantasy al pulp, ad esempio, con una certa credibilità.

Ogni scrittore ha un suo genere congeniale, ma ciò non toglie che possa cimentarsi in altro, sempre che  la cosa nasca da un suo desiderio e non da una imposizione di mercato. Certo è che alcuni generi tirano più di altri, commercialmente parlando. I piccoli editori possono fare scelte commerciali differenziate o di nicchia, e questa nicchia può anche non essere quella che fa  grandi numeri ma avere estimatori costanti. Noi editori alle prime armi dobbiamo dosare vendibilità, visibilità, e qualità.

9) Fiere librarie e presentazioni letterarie contribuiscono spesso al lancio e/o alla pubblicizzazione della casa editrice e degli autori che essa propone. Quale la tua esperienza in merito?

Noi finora abbiamo poca esperienza di fiere, stiamo arricchendo la nostra offerta, ma devo dire che i nostri autori Armando Maschini, Anna Genni Miliotti e Giada Briziarelli hanno fatto e stanno facendo delle meravigliose presentazioni, piene di gente e incentrate molto sulla interazione col pubblico e i bambini.

10) A te l’onore e l’onere di scegliere le copertine delle opere pubblicate dalla tua casa editrice. Quanto conta in tal senso l’immagine visiva di un prodotto editoriale, con riferimento alla prima e quarta di copertina, nel catturare l’attenzione di un potenziale lettore?

Voglio specificare che naturalmente la mia scelta viene poi sottoposta a tutte le socie, e spesso concordata con l’autore, mi piace che quest’ultimo sia partecipe delle dinamiche di selezione, così come quando studiamo il titolo. La parte visiva dell’opera, in un mondo in cui l’immagine è la regola, la ritengo importantissima. L’opera deve emergere dalla massa e colpire l’immaginario del lettore. Poi però assicurare anche ottimi contenuti. Non amo ingannare con false aspettative. Né dare una veste grafica dissonante ai contenuti. Qui entra in gioco la mia formazione artistica.

11) Quali sono i progetti e i sogni nel cassetto della Farnesi Editore?

Già il fatto di avere festeggiato il primo compleanno e avere in campo opere che continuano a vendere bene è un risultato eccezionale, mi auguro di continuare così, e avere in casa editrice sempre autori di cuore, consapevoli del loro valore ma semplici,  felici di scrivere e pubblicare con noi. Non possiamo promettere la visibilità di un grosso editore, però ogni viaggio, come tutti sanno, comincia da un piccolo passo. E magari Farnesi farà tanta strada!

a cura di Lucia Guida

N.B. E’ possibile leggere la presente intervista in due tranches in originale nei seguenti link:

http://starbooks.it/2013/03/18/intervista-al-direttore-editoriale-di-farnesi-editore-2/

http://starbooks.it/2013/03/20/intervista-al-direttore-editoriale-di-farnesi-editore/

PRESENTAZIONI D’AUTORE – “Il cielo capovolto” di Stefano Carnicelli

“Il cielo capovolto” è il titolo del romanzo d’esordio di Stefano Carnicelli, ma anche il titolo di una famosa canzone di Roberto Vecchioni del 1995 e del quadro di Chloé Martin, nipotina dell’autore abruzzese e autrice della bellissima copertina di quest’opera da me presentata domenica 3 marzo 2013 presso l’Associazione Culturale OliS di Montesilvano (PE). Una triplicità che non è affatto ridondante ma che rimanda al colore che la lettura di questo romanzo, pubblicato nel 2011 per Prospettiva Editrice, ci propone: un blu intenso e coinvolgente, caratteristica predominante, nelle sue mille sfumature, del mare e del cielo.

Francesco è un giovane studente universitario diviso tra gli studi di ingegneria, la passione calcistica praticata attivamente e l’affetto profondo nutrito per suo padre, suo unico punto di riferimento affettivo. A un certo punto la sua tranquilla esistenza è sconvolta dalla morte improvvisa di Mario, avvenuta in circostanze estremamente tragiche e in parte misteriose. Facendo buon uso degli insegnamenti di quest’ultimo, Francesco prova a risollevarsi e a cercare un nuovo baricentro. Lo trova ne “Il cielo capovolto”, un villaggio-vacanze in cui decide di andare a lavorare durante la sua prima estate vissuta in completa solitudine. L’allontanamento volontario dal paese natio innescherà in lui un processo di crescita interiore, un vero e proprio “viaggio dell’eroe”, che lo aiuterà a raggiungere consapevolezza maggiore attraverso nuove prove esistenziali condite dal gusto dolceamaro dell’amore e della sofferenza.

Per questo viottolo dal terreno spesso accidentato,  la sensazione, netta, che Stefano proceda di pari passo con Francesco, la sua creatura “di parola e di azione” non abbandona mai il lettore. E può capitare di imbattersi in strofe di  canzoni di Fossati e Vecchioni, in considerazioni filosofico-esistenziali, citazioni letterarie di tutto rispetto affiancate da vecchi adagi popolari pensando a Francesco come ideale portavoce di Stefano, impegnati, entrambi, in un’autentica sinergia narrativa che è anche esistenziale.

Molte le tematiche degne di rilievo trattate nel libro. Ne cito solo un paio. Il primo filo scrittorio annodato da Stefano è quello dell’attesa: l’attesa di poter tornare, per Francesco, alla normalità ma anche l’attesa di poter arrivare a capo della morte di suo padre; aspettando, infine, di poter risentire  e rivedere Stella, la donna della sua vita, unico personaggio femminile descritto a tutto tondo con grande meticolosità. Seguono il sogno  e l’immaginario  come escamotage personale di Francesco per riconquistare, attraverso la dimensione onirica e immaginifica, le cose perdute: l’affetto di suo padre e poi quello di Stella, aprendo a occhi chiusi ogni sera “le porte dei sogni” per ricollegarsi mentalmente a un piano atemporale collocato nella propria interiorità, a dispetto di un mondo reale non sempre all’altezza delle sue aspettative.

Per stessa definizione di Stefano Carnicelli la trama de “Il cielo capovolto” è assai semplice, nell’accezione più positiva del termine: piana ed essenziale, come solo le cose del vivere comune sanno essere; mai, tuttavia, scevra di elementi di positività e speranza, attitudini alla base del messaggio che l’autore ci vuol trasmettere attraverso le pagine di questo libro.

Illuminante in tal senso la motivazione del secondo posto conquistato da quest’opera nel Premio Letterario Nabokov 2012, per la sezione narrativa:

“La vita riserva ad ognuno di noi gioie e dolori. Apre e chiude porte che spesso ci conducono verso scelte dolorose e momenti difficili. Stefano Carnicelli con il coraggio dei grandi scrittori decide di narrare la difficoltà del vivere per farci scoprire la gioia della vita. “

Una consacrazione letteraria che ben riflette l’affetto con cui i lettori hanno, a oggi, accolto il battesimo narrativo di Stefano.

L’autore

Stefano Carnicelli è nato a Tornimparte (AQ) nel 1966. Attualmente risiede  e lavora a L’Aquila per un istituto di credito. Ama leggere opere di narrativa contemporanea e scrivere quando la sua professione e gli impegni di famiglia glielo consentono. Appassionato di musica e di calcio ha collaborato in passato con la testata giornalistica abruzzese del “Centro” occupandosi nel presente della rubrica letteraria di abexpress, digital magazine regionale. Attualmente è impegnato nell’editing del suo secondo romanzo, di prossima pubblicazione  sempre per la Prospettiva Editrice.

Le citazioni

 

A proposito di Stella:

“Sei stata un’onda partita da molto lontano che si avvicinava sempre più a riva, verso di me. Eri lì in perenne e costante movimento; un’onda che cresceva attimo dopo attimo, giorno dopo giorno. Ti sei autoalimentata nel tuo mare per abbatterti con dolcezza su di me. Mi sono sentito invaso da te e da tutte le energie che hai saputo trasmettermi (…) Era come se vedessi le stesse cose con occhi nuovi e ben diversi dai precedenti; sono sparite le ombre tetre e le tristi incertezze che avevo dentro.”

A proposito della morte di Mario e delle implicazioni del destino nelle vicende umane:

“La vita era fatta di tante e piccole verità; c’erano i padri e i figli perché la vita si prende e poi, nuovamente si dona ai figli che verranno. E c’erano anche i cani che guidano le pecore perché alcune figure sono e saranno, nella vita, coloro che guideranno quella massa di gente che si lascerà, nel bene e nel male, condurre. Ma la disciplina della terra era anche quell’insieme di nomi fatalmente dimenticati dalla parte negativa e ostile, quella sinistra, appunto, del destino. Ecco chi era il Suonatore; era la sorte, il fato, e aveva dimenticato Mario sotto la sua mano sinistra.”

A proposito del rapporto uomo-donna e come commento all’ultimo canto di Saffo:

“E’ una caratteristica dell’universo maschile quella di vivere sempre in un clima incerto e burrascoso a differenza dell’universo femminile che è più fermo, deciso, definito, eterno e vero come il cielo. Da una parte il mondo agitato e irrisolto dell’uomo che rappresenta il mare, dall’altra il mondo fermo e reale dell’universo femminile che rappresenta il cielo.”

Con riferimento, infine, alla tenacia con cui bisogna affrontare le alterne vicende della vita:

“ In ogni situazione che vivi, in sostanza, si può essere o martello o incudine. Se hai la fortuna di essere martello, potrai battere; se, invece, sei incudine, puoi solo stare e subire il destino! Francesco amava questo proverbio ed era stato sempre ispirato da queste parole (…) In qualche modo cercava sempre di essere un po’ martello, magari un martello anche piccolo, con battuta leggera e quasi impercettibile, ma pur sempre un martello! L’essere incudine significava subire passivamente. A volte era inevitabile, come era stato nella vicenda di suo padre, ma già la semplice reazione all’imponderabile destino appariva, ai suoi occhi, come un riappropriarsi pienamente della propria vita (…).”

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“Presentazione de “Il cielo capovolto” a OliS, Associazione Culturale di Montesilvano (PE)

3 marzo 2013

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I link del blog di Stefano Carnicelli e della sua pagina facebook dedicata al suo romanzo:

http://www.stefanocarnicelli.it/

https://www.facebook.com/#!/groups/169769379761870/?fref=ts

“Il cielo capovolto” edito da prospettiva Editrice è reperibile qui e nei principali store on-line

Carillon

La maternità è una delle esperienze esistenziali  più complesse offerte a una donna ed è mia ferma convinzione che spetti alla donna in primis scegliere come gestirla. Decidendo della propria e altrui vita con libertà assoluta e parimenti con  estrema consapevolezza.

Il racconto di oggi, intitolato Carillon, si colloca “nel mezzo del cammino”, dando voce alle riflessioni di una donna che aspetta un figlio che non ha scelto di avere. Nella narrazione del fotogramma infinitesimale di una giornata come tante c’è posto per i ricordi passati della protagonista, per un brivido breve ma intenso del suo presente ma non per una conclusione netta, definita.

Sarà responsabilità del lettore dargliene una. Ricordando, tuttavia, che non c’è ferita o gioia al mondo che per ciascuno di noi non si ripercuota per una sola e unica stagione.

 

 

Carillon

La donna tirò lieve la cordicella del carillon e musica odorosa di borotalco e di piume leggere si diffuse nella penombra della camera da letto, rischiarata da un abat-jour dal cappello ampio e chiaro. L’illuminazione soffusa e tenue attutiva percettibilmente i pensieri, tanti e grevi, che le frullavano per la testa da un po’ di giorni. Da quando quel referto di laboratorio le aveva dimostrato inconfutabilmente come la vita conserva sempre una certa tendenza a riaffermare il proprio diritto a sovrastare la storia personale di ciascun essere umano, optando talvolta per  il momento meno opportuno per farlo, incurante di ritmi o equilibri preesistenti ed imponendo scelte.

Ed eccola lì, seduta sul bordo del letto accuratamente rifatto, a interrogarsi sul da farsi. L’unica nota dissonante quella musica per neonati rassicurante e morbida come il topolino di stoffa che la conteneva, vestito in toni pastello, che invitava ad una pacatezza che a lei in quel momento sfuggiva, che non sapeva fare propria.

Quarant’anni, un lavoro di tutto rispetto, una casa di proprietà, begli amici, un amico del cuore. E un figlio in arrivo. Inaspettato, non preventivato e tuttavia in viaggio già da un po’.

Giunto quando oramai lei non se l’aspettava più, rassegnata felicemente ad un avvenire di singletudine conclamata impostole dalle circostanze  e che lei aveva comunque accettato e fatto proprio.

Qualcuno l’avrebbe potuto considerare un segno del destino, un orologio biologico che le ricordava come tutto avesse una fine oltre che un inizio. Un barlume di eternità che le si era paventato a un certo punto del suo cammino esistenziale e a cui oggi, forse, non riusciva  a dare il dovuto risalto.

C’erano stati tempi in cui lei aveva sognato di diventare madre come giusta conclusione di cicli che si compivano. Erano quelli gli anni in cui credeva all’amore di una vita, quello che ti dà la forza di rivoluzionare il tuo mondo adeguandolo in parte  alle esigenze di terzi. Un amore bagnato di eternità, fatto di tranquilla quotidianità, di passione che potrebbe mutarsi in stabile e duraturo affetto. Di anniversari da rispettare e onorare, di spese al supermercato insieme e di cenette elaborate nella piena considerazione dei gusti di un altrui maschile.

Ma quell’epoca era inevitabilmente terminata e sfumata in un addio maturato in maniera graduale  annunciato da piccoli e impercettibili segnali, chiarissimi all’esterno,  che pure a lei erano sfuggiti.  E quando la quotidianità fatta di tenerezza si era tramutata in abitudine priva di rinnovamento ed entusiasmo, lei aveva detto “basta” anche per lui che, grato, l’aveva salutata con la promessa di farsi risentire a scadenze fisse. Da amico affettuoso che continua a volerti bene ma in modo differente. Riservando probabilmente, lei lo sentiva, un’attenzione privilegiata ed esclusiva ad altre. Tanto era servito a farla svoltare senza guardarsi indietro e a dedicare tutte le sue energie ad affermarsi professionalmente, accettando di popolare amichevolmente il suo tempo libero e di scegliersi un amico con cui condividere i suoi momenti di privacy e di relax.

Sorrise al pensiero di annunciare all’uomo che riempiva il suo presente di essere incinta di lui. Impensabile, improponibile. Paradossalmente assurdo.  Come si fa a comunicare a un eterno peter pan che non avrà più tempo da dedicare ai suoi passatempi preferiti perché molto verosimilmente potrebbe trascorrere ore ed ore accudendo un neonato bisognoso di cure infinite? Privato in aggiunta dell’infinita libertà di cui ha sempre goduto? A una persona che si è sempre posta al centro dell’universo vivendo senza vincoli né costrizioni, cominciando dal campare alla giornata senza programmi di sorta che non siano quelli legati alla mera sopravvivenza?

Non gliel’avrebbe detto, non aveva senso alcuno mettere al corrente di un evento così delicato una persona abituata a navigare, sia pure in mari ultra conosciuti, scientemente senza timone e a seconda del vento che spira al momento.

E cosa dire di se stessa e dell’impulso che l’aveva spinta a cedere senza un apparente perché all’acquisto di un carillon? Vederlo in una vetrina di articoli per la prima infanzia   e portarlo via con sé, ben mimetizzato nell’elegante borsa portadocumenti, era stata questione di pochi minuti. Il carillon era finito in un cassetto del comò e lei, con un sottile senso di colpa, l’aveva lasciato sotto  lì per un po’, quasi a riflettere sul da farsi. Sentendo d’improvviso e  inspiegabilmente il bisogno di tirarlo fuori quella sera di fine autunno per farlo trillare nella sua camera da letto minimal chic così perfettamente in ordine.

Sapeva che sarebbero occorsi ancora pochi istanti e il topino di stoffa avrebbe smesso di vibrare cessando di ninnare la sua ascoltatrice silenziosa. Attraverso la tenda accuratamente tirata osservò dalla finestra la sagoma di un albero ondeggiare nel vento della sera, ripetendosi mentalmente che tutto sarebbe tornato a posto, che ogni cosa avrebbe ripreso la sua collocazione solita. Che i suoi pensieri, anch’essi ben allineati, avrebbero seguitato a dipanarsi secondo un ordine prestabilito e rassicurante.

Ma sarebbe stato davvero così?

L. Guida

” Silenzio assordante “, dipinto di Giovimartin

Time Passages

A volte aspettare è l’unica cosa che resta.

Il mondo e le cose vanno come devono andare, secondo ritmi che assai spesso ci sfuggono ma che hanno, tuttavia, la preziosità di farci riflettere su noi stessi e su ciò che siamo secondo ritmi biologici più naturali, certamente più umani.

E la poesia, con il suo andamento lento, aggraziato ed elegante è l’unica possibilità che abbiamo per fermare nel tempo le piccole pause da cui sono scanditi i nostri passi nel flusso dell’esistenza. Con incisiva, profonda verosimiglianza.

 

 

Giorni

 

Non è con affanno

né con mera malinconia.

Non con impaziente scalpitio

né con apatica rassegnazione.

Non sotto una pioggia incessante

né in un deserto senza ombra o palmizi.

E’ sull’onda morbida

dell’altalena  dei miei ricordi

di bimba che aspetto,

pronta a spiccare

quel salto in terra.

Fortunatamente

non ancora sazia di vita.

Curiosa viaggiatrice

del mondo

con fardelli lievi

stretti tra le braccia,

avvolti in tessuto

di brillante

e robusta esperienza.

Lucia Guida

” Daydreaming on Swing “, silk painting by L. Reznikova

Il linguaggio delle cose

Le cose parlano con la voce e l’anima che noi gli conferiamo attraverso i nostri pensieri. Rivestendosi dell’affettività di cui noi le connotiamo. Trasformandosi da semplici oggetti in frammenti di memoria e di vita.

In un racconto brevissimo di qualche anno l’insolita giornata di un comune ciottolo di spiaggia.

Ciottolo di mare

Era un comunissimo ciottolo di mare.

Tondeggiante e oramai senza più angoli da smussare, color ambra portato fin lì forse dalla corrente del fiume o prodotto dall’erosione dei frangiflutti che a una certa distanza dalla riva proteggevano dalla capricciosità dell’Adriatico quel po’ di spiaggia che era rimasta.

Giaceva immobile sulla battigia sottoposto agli umori dei passanti che avevano deciso di spendere quel giorno di arsura e di calura al mare. Gli facevano corona un guscio di conchiglia ormai vuoto, pezzetti lucidi di alga e un rametto di legno levigato dalle onde. In mattinata aveva attratto l’attenzione di un bimbo bruno e paffuto che lo aveva trasformato in vetrata o portone del suo castello di sabbia, costruito con notevole impegno e con l’aiuto attento della sua babysitter e della sorellina poco più grande di lui. Poi il piccino era andato via, lasciando la sua costruzione in balia delle onde che in poco, col risalire della marea, l’avevano rasa al suolo. E il ciottolo era finito nuovamente tra gli altri tesori del mare.

Nel primo pomeriggio era stata la volta di un adolescente magro e altissimo dallo sguardo incupito che se l’era rigirato più e più volte tra le dita, voltandosi di tanto in tanto, furtivamente, a guardare di sbieco una ragazzina allegra e biondissima che giocherellava in acqua con i suoi amici a pochi metri di distanza da lui. Alla fine il ragazzo, stizzito, l’aveva gettato assai lontano dalla riva all’ennesimo strillo di gioia della sua compagna prima di raccogliere la sua sacca e di allontanarsi a passo veloce.

Ma il mare, con  gesto tenero e paziente, l’aveva riportato alla base. E il gioco era ripreso da capo.

Un terranova dallo sguardo umido e gentile l’aveva annusato per poi scartarlo lateralmente con una zampa e proseguire il suo cammino  indisturbato seguito dal suo padrone. Il ciottolo era stato poi raccolto da una signora di una certa età che ne aveva osservate con attenzione le venature iridescenti indecisa se includerlo nella sua selezione di pietre, ma ci aveva ripensato e l’aveva lasciato cadere  nuovamente nella sabbia fluida e scura. Era rimasto a lungo in quella sorta di limbo semi nascosto fino a quando una giovane donna l’aveva notato e se l’era fatto scivolare in una tasca dei cortissimi shorts che indossava. Per il ciottolo era stato un momento di panico e di buio assoluti, per nulla  mitigati dalla sensazione di appartenere finalmente e definitivamente a qualcosa o a qualcuno.

A casa la donna l’aveva tirato fuori e, dopo averlo ben ripulito,  gli aveva scritto sopra a penna indelebile una data e una parola. Conservandolo in una scatola circolare e lucida assieme a un rametto di mirto secco, a diversi bigliettini, a un sacchetto di lavanda, ad altri sassi e conchiglie e a molto altro ancora che sapeva di ricordi e giorni lontani.

Poi era uscita sulla veranda e, con lo sguardo rivolto al mare, ne aveva respirato la brezza pulita; rientrando dopo pochi attimi e richiudendo, dopo di sé, con garbo ma con decisione,  la persiana di legno chiaro sul crepuscolo aranciato e sui suoi pensieri.

Lucia Guida

 

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