An Excerpt from “Scelta o destino, Antologia di racconti”: Polvere di stelle

Polvere di stelle

Una notte di S. Lorenzo come quella non s’era mai vista. Lo sguardo puntato alla volta celeste rapita da quella scia finissima di stelle cadenti, mi convinsi che i desideri più segreti potessero tramutarsi in realtà. Lo pensai per me stessa e per te, creatura mia, racchiusa nel mio grembo e già così vitale. Sapevo che saresti stata una bimba e volevo per te un avvenire migliore ben diverso dal mio, lontano da un’infanzia finita precocemente ancor prima di sbocciare fatta di  privazioni, di sogni sfumati bruscamente e di continue battaglie per la sopravvivenza spicciola.

A quindici anni avevo accettato di andare a servizio in città sostituendo al verde tenue delle risaie il grigio uniforme di abitazioni scurite dal tempo dai comignoli svettanti verso cieli incerti. Il parroco, cui avevo chiesto aiuto, m’aveva raccomandata a certi conoscenti alla ricerca di una ragazza senza troppi grilli per la testa e capace nel lavoro domestico. Il mio primo viaggio in treno era durato un giorno intero offrendo ai miei occhi avidi i paesaggi veneto, lombardo e piemontese in tutta la loro opulenza autunnale. All’arrivo il padrone di casa, capo contabile in una cartiera, si era appropriato del mio poco bagaglio senza notarne l’inconsistenza. Quella notte sbirciando dalla finestra un cielo dal blu indefinito avevo pianto a lungo. L’indomani all’alba avevo in fretta raggiunto la cuoca in cucina che dopo avermi rifocillata mi aveva mostrato come accendere l’enorme cucina economica lasciando che una nuvola spessa di vapori e odori preludio dei pasti della giornata ci avvolgesse. Fianco a fianco avevamo lavorato in silenzio sino a quando la siora era venuta a salutarci e a impartire ordini. Intimidita l’avevo appena sbirciata mentre lei soppesava il mio volto diafano, le trecce color stoppa, la figurina inconsistente per poi chiedere alla Ada di darmi qualcosa con cui sostituire l’abituccio che portavo, per me il migliore. Ero stata assunta.

Ogni giorno mi levavo zelante per tempo in attesa che in quella casa di paroni ciascuno si dedicasse ai propri impegni; osservando spesso attraverso la vetrata che li separava da me la Mara, impiegata, e suo fratello Filippo, universitario, vivendo di riflesso un’esistenza dorata cui non appartenevo. E tuttavia rassettare le loro stanze non mi pesava affatto. Accarezzarne i mobili ben tenuti mi dava curiosamente la possibilità di riandare col pensiero a quanto avevo lasciato pur senza troppi rimpianti risvegliato dalla cera profumata che ne impregnava il legno lucido e che mi ricordava l’odore d’incenso della messa alla domenica. Diverso dalla costosa essenza di Mara, provata di soppiatto un pomeriggio in cui i Barberis al completo, le donne avvolte in soffici stole di volpe, si erano recati al cinematografo per vedere Amedeo Nazzari. In quel giorno di festa anch’io e la Ada avevamo  goduto di qualche ora di libertà. Con la Isa, a servizio come me, ero stata in estatica contemplazione del Valentino immerso in un’acerba primavera mentre la cuoca aveva preferito visitare alcuni parenti che abitavano in periferia in una delle tante case di ringhiera. Per un po’ avevo ripensato alla solenne processione del Venerdì Santo e alla festosità dei pianini napoletani coi loro ballabili e le canzoni popolari alla Domenica di Pasqua ridondanti per le vie del borgo mentre seduta su una panchina osservavo il passeggio permettendomi il lusso di un gelato comprato da un ambulante e accettando con la mia compagna la corte impacciata di Cesco e Beppe, operai, anche loro come noi in libera uscita a disagio nei vestiti buoni lontano dal frastuono della fabbrica. Cesco, di Noale, veneto come me anche se de mar era a Torino da pochissimo e divideva una camera con Beppe, marchigiano di Ancona. Alla fine ci eravamo salutati tutti con la speranza di rivederci e con un sorriso. La vita aveva ripreso con lentezza il solito corso sino a quando il destino non ci aveva messo lo zampino e al Cesco, cui avevo confidato il mio indirizzo, era venuto in mente di aspettarmi qualche sera dopo sotto casa in attesa che con una scusa scappassi ad incontrarlo. In men che non si dica ero diventata la sua morosa, la nostra promessa suggellata dalla visione di un film di sentimento e passione e da numerosi baci che ci eravamo concessi con ingenua e sincera prodigalità. La mia aria svagata non aveva tuttavia tratto in inganno la Ada, la quale mi aveva una domenica colta in flagrante da lui in atteggiamenti inequivocabili. Con insperata gioia l’avevo udito impegnarsi solennemente a sposarmi e la brava donna, rasserenata, aveva fatto da intermediaria presso i paroni perché ciò in breve tempo si compisse. Ed eccomi lì con una sottile fede d’oro al dito, regalo di nozze dei Barberis che così maldestramente avevano vegliato sulla mia illibatezza nonostante le molte raccomandazioni del don.

In una concisa lettera avevo spiegato le novità ai miei promettendo di visitarli quanto prima, poi mi ero trasferita nelle due stanze procurate con premura dal mio uomo gomito a gomito con altre due famiglie già avviate, l’una di operai, l’altra di anziani ambulanti.

In quella prima sera da sposa mi era sembrato di toccare il cielo con un dito; una casa tutta nostra, la mano confortevole di mio marito poggiata sul mio ventre a cercar di carpire i primi movimenti di nostro figlio. L’affettuosa indiscrezione di nuovi amici, pronti da subito a darmi con semplicità una mano. Un cielo estivo da poter rimirare con libertà in qualsiasi momento ne avessi avuto voglia.

Condividendo con te, figlia mia, attese e speranze future con le tue movenze lievi di farfalla appena sotto il mio cuore quasi a chiedermi perdono per la notte insonne procuratami.

Respirando a fondo avevo chiuso gli occhi su quella luminosità di seta marezzata. Saresti stata Stella, avevo deciso, e il tuo cammino di donna generata per salite spesso difficili da intraprendere sarebbe stato in piano, illuminato dalla benevolenza costante di un astro lontano, il tuo. *

“Polvere di stelle” in A.A.V.V. (2011), Scelta o destino, antologia di racconti, Cooperativa Tipografica degli Operai, Vicenza

 

” De sterrennacht ” by V. Van Gogh

Concorsi letterari: quando essere premiati paga

Girovagando nel web qualche giorno fa mi è capitato di imbattermi in un sondaggio; ai visitatori di un sito di scrittura e lettura veniva chiesto di indicare quanta importanza rivestissero i concorsi letterari nella scrittura. Se, cioè, servissero e in che misura a promuovere gli autori che vi partecipavano.

Ho cominciato a inviare i miei racconti brevi ( brevissimi per qualcuno, ma il mio stile è questo: periodare lunghetto compensato da racconti mini, prendere o lasciare! ) nell’autunno del 2008. Da poco avevo scoperto un sito che mi era apparso formidabile, quello di CLUB.IT: di facile consultazione, gratuito, esaustivo. E con certosina pazienza avevo iniziato a spuntare bandi dopo bandi alla ricerca dell’occasione. Mi ero incamminata per questa strada a caccia di conferme esterne che andassero oltre gli apprezzamenti amichevoli  per i  miei post dei blogger di libero,la piattaforma in cui con buona volontà e voglia di confrontarmi avevo aperto una sorta di pensatoio pubblico. La conferma arrivò con una certa celerità, al secondo tentativo: con la fortuna del principiante ero giunta in finale al  XII Concorso Letterario organizzato dalla Biblioteca Poggio dei Pini di Capoterra (CA). Col senno di poi credo che se ciò non fosse avvenuto avrei con molta probabilità continuato a scribacchiare di vita quotidiana al femminile sul mio Springfreesia.

Non credo di esagerare affermando che quella selezione cambiò il corso dei miei eventi scrittori: fui incentivata a continuare in tal senso e a partecipare ad altri eventi letterari con maggiore e minore fortuna. La cosa bella ed entusiasmante per un’aspirante affabulatrice come me è proprio nel sentire riconosciuta questa tua capacità, vera o presunta. Quella, cioè, di riuscire a trasmettere a  chi legge qualcosa di tuo, che sia impalpabile come sensazioni e stati d’animo o al contrario di sostanza come la descrizione di cose, eventi e persone

Di premi e bandi letterari il Bel Paese è stracolmo. Ce ne sono di accettabili e seri ma anche di leggeri e poco credibili. Tra questi ultimi svariate le manifestazione a premi  caratterizzate dalla velata promessa di ottenere una pubblicazione in grande stile gratuita: a spese zero per l’autore, interamente a carico della casa editrice che si è, per l’occasione, fatta promotrice dell’evento letterario in questione.

Peccato tuttavia che assai spesso alla tua non ammissione in finale segua un’interessante proposta editoriale: certamente a pagamento, certamente onerosa per chi la riceve, trasudante però gloria in fieri. Può capitare che l’autore in questione si senta lusingato da simili profferte e accetti. Intasando il ripostiglio o un paio di scaffali del proprio garage con scatoloni di cartone ricolmi della propria opera solertemente pubblicata, onerosamente pagata e ahimè invenduta, dopo aver provveduto a piazzarne presso amici, parenti e conoscenti qualche copia sporadica.

Difficilissimo orientarsi in questa moderna babele letteraria. Con un po’ di esperienza sul campo personalmente ho imparato a diffidare di quei premi letterari che prevedano onerosi contributi lasciati passare come  tasse di lettura o spese di segreteria (sic!). Ai concorsi proposti dalle case editrici con modalità simili a quelle su esposte in precedenza preferisco, magari, partecipare a un concorso organizzato da una piccola biblioteca di provincia: la locandina sarà forse meno altisonante, ma lo scopo che lo sottende sarà sicuramente più apprezzabile e stimolante se  alla base di quest’iniziativa culturale c’è la diffusione e il consolidamento del gusto per la lettura tra giovani e meno giovani.

I concorsi letterari sono, infine, un piccolo e fedele microcosmo di vita vissuta italiana, pregi e difetti. E può capitare anche di assistere alla premiazione di lavori improbabilissimi infilati dai giurati tra i selezionati all’ultimo momento per simpatia .

Morale della favola: moderazione, come sempre. E ragionevolezza nelle scelte. L’apparenza, si sa, può ingannare con facilità. La consolazione è che comunque tutto ciò che sembra è destinato  per legge di vita a dissolversi al primo soffio di vento a favore della concretezza, che poi fa l’essenza di quelle cose che nella vita  contano di più.

“pratoline” di Julia Hoersch

Maternità – Motherhood

Si nasce o si diventa madri? E ancora: quando si diventa madri: nell’atto del concepimento o forse ancora prima, nell’istante in cui si comincia a pensare progettualmente al bambino che arriverà? Senza buonismi di sorta sono davvero convinta che la maternità sia un dono immenso per una donna; diventarlo consapevolmente credo sia una preziosità unica.

Un pensiero a tutte le donne e mamme qui di passaggio attraverso i pensieri di Lucia, protagonista del mio racconto breve “Una nuova stagione di vita” in un estratto tratto dalla mia silloge Succo di melagrana.

 
(…)

Strinse lievemente il bordo della copertina di lana lavorata a mano che la avvolgeva, avvertendo un involontario brivido che non era soltanto di freddo. Pensare di essere incinta di un uomo che aveva conosciuto nello spazio di pochissimo tempo le dava le vertigini. Eppure era successo, eppure era realtà. E lo sarebbe stato ancora maggiormente col passare del tempo, quando la rotondità del suo ventre avesse deciso di evidenziarsi in tutta la sua esuberanza e piena affermazione della vita che conteneva piuttosto che celarsi con discrezione come adesso sotto l’abito nero da vedova. Passata l’estate, terminato l’autunno, avrebbero in dicembre avuto, lei e i suoi figli, il loro personale Bambinello in carne e ossa, ninnato nella culletta di legno dalla fattura essenziale che suo marito aveva intagliato prima della nascita di Annuccia e che, dopo un paio di anni, era stato nido confortevole anche per Beppe. Ce l’avrebbe fatta. Non era forse vero che quattro bocche si sfamano con la stessa facilità di tre? E che l’arrivo di un figlio, seppure non desiderato, è sempre da preferirsi a una montagna di guai? Almeno era quello che la saggezza popolare suggeriva con pietosa consolazione a tutte quelle donne che, condividendo la sua stessa sorte, si trovavano di fronte a un evento inatteso di tale portata. Ma cosa aggiungere a beneficio di quelle che, in mala tempora come lei, avevano da fare i conti col fatto di non essere legittimate in quest’attesa dall’avere un compagno che le affiancasse, magari partito per la guerra o all’estero come tanti uomini di quel paesello in cerca di fortuna ma pur sempre in odore di rimpatrio, con cui condividere anche socialmente una responsabilità così gravosa? Avrebbe potuto continuare a recarsi nel suo campicello nelle giornate festive o, da brava sarta, cucire ancora per le donne del luogo? E chi l’avrebbe aiutata a tirar su quel pupetto, le volte che lei non avesse avuto possibilità di occuparsene personalmente? Per quanto per natura fosse avvezza ad affrontare uno per volta i problemi che si prospettavano, stavolta quest’antico atteggiamento mentale, in precedenza assai risolutivo, fatto di intuizione femminile e di una buona dose di buonsenso, oltre a una notevole capacità di ottimizzare qualsiasi difficoltà le si parasse davanti, facendola fruttare anche solo in briciole di positività, le sembrava non funzionare a dovere.

Era a un bivio.

A dire il vero l’aveva addirittura superato. Perché con estrema incoscienza o speranza o qualcos’altro che non sapeva ancora ben definire, forse prematuro istinto materno verso quella creatura ancora troppo piccola per segnalare con un battito d’ali o un guizzo la propria infinitesimale presenza, e tuttavia già radicata con forza nella sua vita, aveva deciso di non chiamare la levatrice per farsi aiutare a sbarazzarsene. Di continuare a farla crescere dentro di sé. Di partorirla e di cercare un nome per lui o lei, vestendo quel neonato con coprifasce e vestitini cuciti a mano che erano stati quelli dei suoi ragazzi da piccolissimi e che sarebbero appartenuti anche a quel nuovo fratellino o sorellina figlio di un semisconosciuto soldato americano.

 

Guida Lucia ( 2012), “ Una nuova stagione di vita “ in Succo di melagrana, Piazza Armerina, Nulla Die

“Sweet Lullaby” by Sascalia 

Inspiration Point. Quando l’ispirazione prende il volo Riflessioni personali e semiserie su frammenti di genesi scrittoria

Le belle idee cui dare  forma narrativa ti arrivano quando meno te l’aspetti e se non le afferri prontamente ti abbandonano con altrettanta velocità. Come dire passato il treno, sprecata un’occasione. Per un’aspirante scrittrice part-time come me a volte è difficile anche mettere nero su bianco pensieri e spunti sul moleskine. Una volta mi è capitato di pensare a come sciogliere un nodo narrativo che mi impediva di progredire nella stesura di un racconto mentre guidavo in autostrada con i miei figli alla volta di Roma, in visita a persone care. Impossibile fermarmi su un cavalcavia a strapiombo su un viadotto lunghissimo senza piazzole di sosta. Provare, una volta giunta alla meta, a riprendere le fila del discorso non è stato semplice.  Altro sarebbe stato se avessi avuto a portata di mano il mio pc nel confortevole bozzolo di un luogo familiare e protetto. A parlare semplicisticamente rinunciare a uno spunto ispirativo è un po’ come fare la spesa cercando di tenere a mente quello che devi comprare: non sempre il risultato finale è quello che ti aspettavi. Una volta terminato di stilare la lista della spesa se pure dovesse capitarti di lasciarla  a casa da qualche parte ( come a me immancabilmente accade! ) la tua mente ha comunque messo in moto dei meccanismi cerebrali tali da permetterti, una volta nel supermercato, di ricordarne senza sforzo almeno l’80%. Ben altra cosa se, invece, hai pensato di affidarti completamente alle tue capacità mnemoniche: finirai inesorabilmente per acquistare, se ti va bene, un terzo di ciò che ti occorre, dirottando le tue energie su un’infinità di cose di cui potresti tranquillamente fare a meno.

” Se vuole scrivere romanzi una donna deve avere del denaro e una stanza tutta per sé. “ E’ uno degli aforismi pluricitati di Virginia Woolf e mi sento di condividerlo in toto. Perché a mio avviso rispecchia allora come oggi quella che è la situazione di molte di noi. Per me scrivere richiede serenità mentale, una dose generosa di tempo a disposizione, la libertà di gestire quest’attività lontana da affanni contingenti come la preparazione del pranzo, l’accompagno di un figlio in palestra o la relazione commissionata dal capo che hai portato con te a casa per terminarla e consegnarla a lui in tempo. Ma quanti scrittori, aspiranti o veterani del campo, possono vantare di possedere una tale ampiezza di manovra? Pochissimi, certamente i più affermati; quelli che hanno avuto la possibilità di trasformare un passatempo rubato alle incombenze routinarie in un mestiere legittimato e consacrato dal favore dei lettori.

La mia unica consolazione, autentica e realmente sentita, alla comparsa di contrattempi simili a quello su citato, è che uno scrittore-lavoratore possieda, forse, maggiori chance di mantenersi con i piedi per terra. Può tastare con maggiore obiettività il polso della situazione e provare ad affabulare il suo pubblico con maggior verosimiglianza.

A patto, naturalmente, di concepire la scrittura come ciò che io chiamo “riflesso” della realtà più compiuta. Una dimensione in certo qual senso attendibile, arricchita tuttavia dal tuo miglior estro creativo. Una sfumatura di colore sui generis su una stoffa di sostanza, tessuta con un filo apparentemente  sottilissimo ma in realtà di ottima tenuta.

carte, registrati, oggetto, foglio di carta

A proposito di pubblicità

Il booktrailer è uno strumento di ultima generazione per pubblicizzare opere letterarie di genere diverso. In un formato accattivante e maggiormente fruibile qual è quello di un video fatto di immagini e non di sole parole ( come è diversamente in una recensione o nel testo riportato dalla quarta di copertina ) il potenziale lettore può brevi manu farsi un’idea certamente vicina alla realtà del libro propostogli accettando di proseguire nell’esplorazione scaricandolo come ebook oppure recandosi in libreria ad acquistarlo.
In questo post vi presento il booktrailer homemade della mia silloge di racconti “Succo di melagrana” realizzato da mia figlia Roberta su mie indicazioni sperando di incontrare il vostro favore tanto da spingervi a leggerlo in versione integrale

 

Dietro le quinte – On the Backstage

Scrivere e pubblicare un libro non è un atto automatico. Richiede tempo, lavoro, coinvolgimento affettivo-emotivo, impegno tecnico, un pizzico di intraprendenza. E’ un lavoro a tempo pieno che io ho gestito come fosse corollario di un grande teorema: la mia vita di genitore single, il mio lavoro, le mie amicizie, la mia quotidianità più spicciola. Collocare  in questo algoritmo ben architettato preesistente il tempo necessario per condurre quest’impresa in modo decoroso non è stato semplice. Più di una volta mi sono chiesta con consapevolezza e forse un po’ di stanchezza se fosse ancora il caso di continuare per questa strada. Decidendo poi di andare comunque avanti con dignità, entusiasmo rinnovato e molto olio di gomito, cercando di non deludere chi aveva creduto in me regalandomi con generosità stima e apprezzamento.Qui di seguito qualche momento di questo percorso in progress. Ancora tutto da costruire, ancora tutto da equilibrare

 

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Il pc per un autore è punto di arrivo e punto di partenza. Il mio è affettuosamente obsoleto ma non riesco a staccarmene; come non riesco a fare a meno del paio di occhiali parcheggiati sulla tastiera: un regalo dei miei figli per il mio compleanno, segno del tempo che trascorre incessantemente.  E che mi ha resa, oggi, nella scrittura allodola e non più  pipistrello

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Un paio di foto commissionate a professionisti sono il tormentone delle prime volte di ogni autore. Com’era prevedibile mi ci sono imbattuta anch’io scegliendo alla fine di pubblicare foto “vivibili”: più sentite, meno preconfezionate

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Prove tecniche di trasmissione per l’acquisto su uno store on-line di libri del mio “Succo”. La foto, gentilmente scattata da mio fratello, ne attesta la buona riuscita!

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Pensare a qualcosa di piccolo ma di importante per il pubblico che è in sala ad assistere a una tua Presentazione: una pergamena con una poesia al femminile, in cui il concetto di Donna non è mero optional

 

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I fuoriprogramma. L’affetto di amici e colleghi   per i quali la presentazione del tuo libro non è un momento come un altro

 

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Una lettera che è un attestato di stima ma anche una piccola recensione

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I sentieri più battuti, si sa, sono fatti di piccoli ma significativi passi.

An Excerpt from ” Succo di melagrana – Storie e racconti di vita quotidiana al femminile “: Bella bella bella

Sara si svegliò di colpo desiderando di poter chiudere gli occhi per riaprirli in un tempo indefinito, lontano da qualsivoglia affanno presente. Ma sapeva che non era possibile; non in quel periodo dell’anno, per lei sempre molto impegnativo, e non di mercoledì, giorno fulcro della sua settimana lavorativa. Il panorama dalla finestra della camera da letto le rimandò la distesa a perdita d’occhio di tetti di varia foggia tipica dell’ assetto urbano di quella piccola città di provincia in cui la sua esistenza scorreva lenta e senza scosse oramai da più di un lustro.Vi si era trasferita per amore, inseguendo un sogno sentimentale sfumato repentinamente dopo pochissimi mesi, lasciando il paese in collina in cui era nata e cresciuta a cui aveva, tuttavia, scrupolosamente continuato a fare ritorno a scadenze fisse, ricorrenza dopo ricorrenza, per visitare con diligente senso del dovere la propria famiglia. Decidendo di stabilirvisi definitivamente a sprezzo di quella storia andata male, nell’ incapacità di salpare per altri lidi più lontani, grata alla piccola nicchia fatta di quotidianità rassicurante che lì era riuscita a ricavarsi: un lavoro accettabile, una cerchia di amici-conoscenti con cui trascorrere i fine settimana e i momenti di relax che le erano concessi, una casetta sufficientemente comoda cui far ritorno dopo l’ufficio. Sara aveva appena oltrepassato i quaranta ma sembrava che la cosa la toccasse marginalmente; era quello che ripeteva spesso con un sorrisetto a chi, ammirato, davvero non glieli attribuiva. Pur avvertendo ultimamente, suo malgrado e con un brivido interno, un profondo senso di inadeguatezza, quasi di fastidio alla comparsa dei primi segni del tempo. La sua silhouette aveva nel complesso conservato la fisionomia di adolescente alta e longilinea di una volta grazie anche alla cura ossessiva e sistematica dedicatagli nello spasmodico sforzo verso una perfezione formale sempre troppo lontana da raggiungere che la impegnava di continuo senza concederle tregua.La sua vita era stata costellata di incessanti tappe obbligate da coprire nella recherche infinita in cui si era lanciata iniziando con la frequenza sistematica di palestre e centri di bellezza perché altri potessero guidarla nel delineare il suo corpo a immagine e somiglianza di un ideale femminile dai contorni ben definiti stampati prima nella sua mente di bimba e poi in quella di adolescente.A poco più di vent’anni aveva deciso di cambiare colore dei capelli scegliendo una nuance di biondo che sentiva maggiormente propria e più in armonia con i suoi occhi verdi. Aveva, quindi, coscienziosamente proseguito imparando trucchi ed artifici del maquillage e una volta appropriatasi della materia non se n’ era più separata, truccando il suo viso impeccabilmente 24 ore su 24, incapace di farne a meno, per sua stessa ammissione, tanto in situazioni di banalissima routine, come ad esempio un acquisto veloce nel supermercato all’angolo della strada, quanto in occasioni specialissime e intime in cui era prevista anche la compagnia maschile. A trent’anni aveva stabilito di migliorare il suo sorriso affidandosi alle cure di un famoso ortodontista ottenendone una dentatura perfetta e smagliante. Possedeva un metabolismo da ragazzina ma badava a non eccedere mai nel cibo. Scherzando era solita raccontare a tutti di nutrirsi di schifezze, attribuendo a ciò i disordini alimentari cui era spesso soggetta. Pur vantandosi di possedere un robusto appetito, in riunioni conviviali era solita spilluzzicare come un uccellino, lamentando una subitanea sensazione di pienezza a giustificazione di pietanze appena assaggiate. Nella scelta dell’ abbigliamento amava destare sensazione e suscitare ammirazione; anche in quest’ ambito nulla nei suoi atteggiamenti e nel suo modo di presentarsi era lasciato al caso, risultando al contrario frutto di un’accurata pianificazione finalizzata a mettere in risalto il meglio di sé. I suoi progetti di vita erano piuttosto circoscritti e subordinati a questo amore sviscerato per l’immagine di donna gelosamente e esasperatamente coltivata nel suo intimo, il cui mantenimento richiedeva uno sforzo continuo e al tempo stesso terribile, reso mastodontico dal fluire inesorabile del tempo e dalla frequenza maggiore con cui cominciavano a emergere piccole falle e impercettibili crepe bisognose ora più che mai di essere appianate con ogni mezzo a disposizione. Un po’ come per un giardino certosinamente curato e abbellito da un giardiniere in costante tensione nel mantenere ordine e rigore a fronte di una natura dispettosa e ribelle, sempre pronta a riaffermare il proprio pieno diritto a esistere e a sovrastare, divertendosi a infestare di erbe spontanee aiuole graziosamente acconciate e ben delineate. Per qualche istante osservò compiaciuta e con occhio da intenditrice le sue natiche ancora ben conformate, ripromettendosi di indossare presto la brasiliana consigliatale dalla commessa del suo negozio di intimo preferito. Un attimo, però, di brevissima durata, spazzato via da un’ impercettibile smorfia della bocca, perfetta e ammodo anche quella. Il suo cruccio più recente era al momento il seno, giudicato troppo piccolo e, forse, in procinto di mostrare segni di cedimento. Sara lo osservò con cipiglio riflessa nel lungo specchio basculante che occupava un angolo della sua camera e a cui affidava di solito la supervisione d’ensemble di se stessa appena abbigliata. Non era affatto rispondente ai suoi canoni estetici, necessitava al più presto di essere rimodellato da un bravo chirurgo estetico. Avrebbe come al solito provveduto al meglio e con sollecitudine.Questo pensiero le dette subitaneamente un senso di sollievo. Offrire di se stessa un’ immagine più che gradevole era lo scopo della sua vita, l’ unico aspetto che sentiva assolutamente di poter fronteggiare con una certa sicurezza, plasmandolo secondo quanto la facesse star meglio.

Peccato, tuttavia, che quel controllo sistematico e intransigente non potesse essere esteso ad altri ambiti. La sua vita affettiva, per esempio, vissuta con insoddisfazione perenne e costellata indelebilmente da esperienze dolorose che preferiva non ricordare. Lì veniva fuori tutta la sua insicurezza di bambina incompresa e trascurata da una madre troppo frettolosa e da un padre cronicamente assente. Si innamorava sempre di uomini che la conducevano alla sofferenza. Uomini a cui immolava tutta se stessa, a cui si dedicava anima e corpo. Uomini rincorsi disperatamente a cui chiedere di continuo conferme. Uomini che puntualmente scappavano lontano da lei a dispetto della sua disponibilità estrema e incondizionata. Compagni per cui aveva recitato con discrezione all’inizio, con disperazione alla fine, un ruolo femminile di autentica, totale dedizione. Che finivano con lo scegliere donne dall’aspetto, a suo avviso, quanto meno improbabile e discutibile. Donne comuni, ordinarie, incredibilmente poco avvezze alla cura di se stesse. Figure femminili della porta accanto, da mercatino rionale più che da bottega per gourmet. Che tristezza, lei pensava, e che profonda ingiustizia nei confronti del santuario pluridecennale da lei eretto a imperitura adorazione di una bellezza narcisistica idealmente e affannosamente ricercata e inseguita per tutti quegli anni.

Immersa in queste riflessioni non piacevolissime si riscosse e, dopo l’ ultimo sguardo alla sua immagine riflessa, raccattò pochette e foulard finalmente pronta per la sua giornata di lavoro. Decentemente a posto. Chiuse con cura l’uscio affrettandosi per le scale; l’ultima sbirciata l’avrebbe data all’enorme specchio posizionato nell’ androne del sobrio ed elegante condominio in cui viveva a mo’ di ulteriore e finale conferma per sentirsi a tono , perfetta come sempre, elemento costante in un algoritmo temporale fatto di settimane e giorni tutti uguali e in fila, l’ uno dopo l’ altro. Questo era ciò che lei si augurava di cuore: resistere stoicamente al fluire incessante e frenetico dell’ esistenza secondo un ritmo uniforme privo di variazioni in tema percepito tuttavia come rasserenante e indispensabile alla propria sopravvivenza fisica e mentale.

L’ improvvisa pioggerella fina la colse per strada di sorpresa costringendola a tirarsi sul viso il cappuccio dell’impermeabile e ad affrettarsi con tono sbarazzino sui tacchi alti verso un taxi fortunatamente posteggiato a breve distanza. Spiando velocemente nel minuscolo specchietto ditartaruga sempre a portata di mano fece per constatare danni inesistenti cui porre eventuale rimedio, concludendo che, davvero!, la vita era una battaglia continua. Poi si appoggiò al sedile ceduto al peso dei tanti clienti di passaggio e la sua attenzione fu tutta per quella variegata umanità celata sotto decine di ombrelli disseminata per le vie del centro. Una moltitudine irresistibile ma troppo lontana, sfumata dal suo respiro simile a quello di una bambina cresciuta troppo in fretta, appannato sulla trasparenza del vetro di un’ auto pubblica in corsa nel grigiore argentato di una giornata di pioggia. *

*  “Bella bella bella”  in Guida, L. (2012) Succo di melagrana – Storie e racconti di vita quotidiana al femminile, Piazza Armerina (EN), Nulla Die

Presenting “Succo di melagrana”, My Collection of Short Stories

ImageCircolo Culturale OliS, 29th January 2012, Montesilvano (PE), Italy

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Museo Casa Natale di G. D’annunzio, 10th March 2012, Pescara, Italy

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Feltrinelli Bookshop, 17th March 2012, Pescara, Italy

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De Luca Bookshop, 14 April 2012, Chieti, Italy

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Sala ” Figlia di Iorio “, Palazzo della Provincia, 18th  April 2012, Pescara, Italy.

” Primo Vere ” Fair Trade Emporium in Pescara,  Italy, 1st June 2012

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” Indro Montanelli ” Secondary School in S. Marco in Lamis (FG), Italy.
29th November 2012

 

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“Più Libri Più Liberi 2012” Bookfair, Rome, 6th December 2012

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Rosadonna Festival 2013

Circolo Aternino in Pescara,  Friday 24th May 2013

 

” Presentare il proprio libro per un autore è come aprire al mondo intero la porta della propria dimora.”

” For an author presenting publicly his book  is like opening his home’s door to the entire world “

L. Guida


An Interview

http://www.sottoifioridililla.com/2012/04/intervista-lucia-guida-scrittrice.html?spref=fb

Carolina Venturini is interviewing me on her blog “Sotto i fiori di lillà”

A Nice Interview by Carolina Venturini on her blog “Sotto i fiori di lillà” on Blogspot Platform. Talking of my way of telling stories, everyday life, literary contests in Italy today

INTERVISTA A LUCIA GUIDA

  1. Docente di lingua inglese e scrittrice. Lucia Guida e la letteratura paiono un unicum significativo. E’ così? Quanta linfa creativa e scrittoria trai dai classici della letteratura inglese e qual è il tuo maestro o la tua stella maestra, fra i Grandi della tua materia di studio?

Hai detto bene, studiare Lingue non è soltanto conoscere e parlare con fluency l’Inglese ma anche approcciarsi alla letteratura di un popolo e al suo modus vivendi per questo tramite privilegiato. Credo che la letteratura inglese, ma anche quelle francese e italiana!, da me studiate e/o approfondite all’università, abbiano decisamente influenzato il mio stile letterario. Senza trascurare nessuno degli autori da me conosciuti o riscoperti ricordo in particolare Thomas Hardy, Jane Austen, T.S. Eliot ma anche Colette, Simone de Beauvoir, Pea, Natalia Ginzburg e Cassola…

  1. “Succo di melagrana” è la tua creazione letteraria più recente. Com’è nata questa silloge e qual è il messaggio che speri di essere riuscita a trasmettere attraverso i racconti?

La silloge è nata poco alla volta, alla fine di un percorso di crescita personale e letteraria durata qualche anno. Da alcune esperienze nel mondo dei concorsi letterari nazionali e dalla mia voglia di confrontarmi con Donne e Uomini in materia di sentimenti. Il messaggio che ho cercato di trasmettere è stato appunto un messaggio di mediazione, di complementarietà in una società come quella italiana in cui, spesso, convivono con grande difficoltà situazioni estreme nelle relazioni interpersonali tra i due sessi. Complicate da stereotipi o tipizzazioni, a oggi ben radicati, che non aiutano affatto a smussare gli angoli. Della donna si ha un’immagine cristallizzata che non cresce e non aiuta a crescere, nelle piccole cose della quotidianità come nelle grandi cose della straordinarietà. A volte mancano il necessario rispetto o la stima per tutto ciò che è parte dell’universo femminile. Io credo che sia fondamentalmente un problema di educazione e che dipenda principalmente da un imprinting familiare distorto. Mi piacerebbe che ci si ritrovasse a lottare insieme e non da parti opposte della barricata. La unicità di Uomo è Donna è qualcosa di imprescindibile: riconoscerla e prendervi spunto per andare avanti nel riconoscimento l’uno del valore dell’altra sarebbe un buon punto di partenza …

  1. Qual è la tua opinione riguardo la nuova editoria digitale e come ti ci confronti, in qualità di autrice e lettrice?

Io credo che l’e-book sia un  mezzo di diffusione della cultura e della lettura fantastico. Rifiutarsi di        riconoscerne il gran merito è come tentare di fermare il corso naturale delle cose. Fortunatamente la mia casa editrice ne ha ammessa l’importanza proponendo molte sue pubblicazioni anche in formato digitale. Mi piacerebbe che anche la mia raccolta conquistasse popolarità tale da essere proposta anche in questa veste. Naturalmente continuo ad adorare le librerie come da bambina: il profumo della carta stampata è ancora tra le mie “fragranze” preferite!

  1. Il mondo dei concorsi letterari è ricco e variegato. Avrai sicuramente sentito parlare del Festival dell’Inedito e del ritiro del patrocinio da parte del Comune di Firenze in seguito alle tante petizioni e proteste nate anche dal web. Che idea ti sei fatta della vicenda e che cosa ne pensi riguardo la tassa di iscrizione dal costo proibitivo superiore ai 400,00€?

Io penso che i premi letterari ( e ovviamente sto parlando di quelli che offrono una certa garanzia di serietà! ) possano costituire per qualsiasi scrittore esordiente un buon banco di prova. E ne sono convinta proprio perché anch’io nel 2008 ho mosso i primi passi in tal senso: partecipando a un concorso letterario bandito da una biblioteca sarda, quella di Capoterra (CA). Non ho vinto nessun premio ma sono riuscita a classificarmi in finale con un racconto intitolato “Il volo dell’aquilone”. Credo che la cosa mi abbia dato la carica giusta per continuare in tal senso. All’epoca credo che non fosse prevista nessuna quota partecipativa. Devo, tuttavia, dire che ho sempre diffidato dei concorsi letterari che imponevano cifre spropositate come “tasse di lettura” o “contributo di partecipazione”. E leggendo nel web nei vari forum letterari di tante vicissitudini, soprattutto a carico di giovani autori, credo che alla fine  gli organizzatori del Festival dell’Inedito abbiano preso la decisione giusta: non avrebbe certo giovato all’immagine di una tale iniziativa l’idea che si potesse ”fare cassa” sulle aspirazioni letterarie di tanta gente …

  1. Per essere la scrittrice che sei, quanta importanza ha avuto il tuo percorso di vita nel forgiare la tua penna e la profondità, l’ottica, l’approccio alle difficoltà insite in ogni storia?

Tantissima. La mia idea è che in ciò che ciascun autore scrive ci sia sempre un fondo autobiografico. Specialmente in materia di sentimenti, di moti d’animo, di sensazioni che sono alla base di molte  delle mie storie

  1. Come prepari  – se la prepari – la storia che hai in mente, prima di scriverla?

Per una cultrice delle “piccole cose “ del quotidiano a volte può bastare un profumo, un oggetto, un’immagine isolata. Poi le vie della narrazione sono “infinite”:  quando hai la giusta ispirazione non sa mai dove andrai a parare, quale sarà la strada che ti si presenterà davanti. Puoi provare a buttare giù un canovaccio, senza avere la pretesa di rispettarlo sino in fondo perché a volte accade proprio l’esatto contrario …

  1. Quanto è importante, nella tua scrittura, il viaggio dell’eroe, inteso come quel viaggio di evoluzione che spinge in avanti l’azione e, al contempo, permette il cambiamento nei personaggi?

Se per “viaggio dell’eroe” si intende la consapevolezza di fondo di un personaggio che prende corpo con il procedere della vicenda, caratterizzandone, quindi, gli esiti finali, confesso di essere in tal senso “fatalista” piuttosto che “determinista”. Ma fatalista in senso spiccatamente positivo, intendiamoci. Nelle mie storie c’è poco posto per la rassegnazione e molto  per l’esercizio di buone e costruttive pratiche esistenziali. Ciascuno rimane sempre e comunque artefice del proprio destino

  1. Un detto dice: “Non si finisce mai di imparare”. Anche per la scrittura vale lo stesso?

Potrei affiancare al tuo adagio anche quello di “ sapere di non sapere “; nella vita, e quindi nella scrittura come metafora riflessa della vita, conservare i piedi ben piantati per terra aiuta sicuramente a crescere e a migliorarsi

  1. Che cosa significa, per te, essere una scrittrice? Quanto ti ci senti e come questo condiziona la tua vita e alle storie delle persone che ti circondano?

Io credo di essere rimasta essenzialmente quella che ero prima: madre, docente, scrittrice “per passione”. Chi mi conosce a fondo condivide appieno questa affermazione, dal momento che la mia vita spicciola è rimasta nella gran parte quella di una volta.  Mi piacerebbe poter avere molto più tempo per coltivare quello che al momento resta ancora un passatempo. Potrei girare la domanda ai miei due figli: a mia figlia Roberta, mia editor di fiducia, credo che questa mia “evoluzione” esistenziale non abbia creato particolari problemi. Mio figlio Emanuele, invece, farebbe volentieri a meno di un po’ di pubblicità, a cominciare dalla dedica riportata in una delle prime pagine del mio “Succo” …

  1.  Nei tuoi anni di maturazione come scrittrice, qual è stato l’errore “scrittorio” che ringrazi ancora oggi?

Il ricordo, tenerissimo, delle doppie ahimè mancate!, che infarcivano le mie prime produzioni letterarie di bimba. Storie di eroine e di eroi scritte su tovagliolini di carta sottilissimi proposte poi in lettura a mio padre a casa. I suoi brontolii ( mio padre era anch’egli prof! ) per i miei errori ortografici e la mia voglia di migliorarmi nella forma. Non li ho più dimenticati!

Aprile 2012, Carolina Venturini, blogger e social media analyst

The Beginning

L’idea, peregrina, mi era balenata in mente a fine agosto, periodo per me piuttosto sonnacchioso dal punto di vista lavorativo. Cominciando un po’ per gioco e un po’ sul serio a fare zapping sulle varie piattaforme per autori esordienti, sovrabbondanti di indicazioni, ricette, dritte per pubblicare bene. La mia idea regina era di rivolgermi a una casa editrice che potesse farlo gratuitamente, unendo l’utile al dilettevole. Rifiutando di “pagare per lavorare”, ( e cioè rivolgermi a edizioni EAP, a pagamento) ma anche non disdegnando di ricevere ulteriori conferme sulla mia scrittura.

In realtà il discorso era già stato avviato perché tra i tanti concorsi letterari nazionali cui avevo partecipato me n’era capitato qualcuno che tra le altre cose aveva messo in palio la pubblicazione dei racconti brevi arrivati in finale. Ma è risaputo che cantare “in coro” richieda una forma di coraggio diversa che farlo da “solista”. Aspettare l’esito delle tante mail inviate con il mio manoscritto in formato digitale  mi ha messa nella stessa prospettiva di una donna incinta che ha la possibilità, nei nove mesi della gravidanza, di abituarsi gradualmente alla creatura che porta in grembo. Con amore e tenerezza, con preoccupazione e ansia, trepidando sino al parto: perché si sa, una gravidanza è sempre e comunque un punto interrogativo, dal concepimento alla nascita.

A metà ottobre la notizia ricevuta dalla Nulla Die di essere pronta a pubblicarmi con riserva: a patto, cioè, che io come autrice non facessi troppe bizze, troppi capricci da primadonna perché talvolta è così che capita. A un passo dalla pubblicazione ci si reputa novelli Hemingway, pretendendo l’impossibile e oltre.
Non è stato il mio caso. Probabilmente per l’educazione ricevuta di stampo piuttosto puritano o forse per la consapevolezza di essere rientrata nel gioco per una sorta di coincidenze fortunate e fortuite. Dalla mia parte la mia scrittura da affabulatrice apprendista: senza scuole di scrittura creative da vantare in un curriculum letterario ma particolare, “graffiante” secondo la definizione di qualcuno. Influenzata da una passione per la lettura corposa, nata precocemente in un’età in cui ogni genere di imprinting ricevuto è per la vita.

Ho lasciato sedimentare la mail della Nulla Die per dieci giorni. Un periodo di riflessioni, di ripensamenti, di valutazioni contrastanti. Prima di armarmi di nuovo coraggio e rispondere positivamente, avviando un processo meraviglioso quanto irreversibile che mi ha portata a pubblicare sei racconti brevi, sei storie di donne tra passato e presente in cui la mia creatività si è confrontata con la vita spicciola da me esperienzata, vissuta, agita, metabolizzata.

Mente chi afferma di scrivere senza sottofondi autobiografici: se la scrittura è vita riflessa, trasposta nero su bianco, anche una fragranza, un’immagine, una sfumatura sono necessariamente connotate emotivamente dalla personalità di chi le ha pensate e date alla luce.

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