Alla fine di una storia – Aspettando la pubblicazione de “La casa dal pergolato di glicine”

 

I momenti che precedono la pubblicazione di un libro mi rimandano con un pizzico di nostalgia ai primi minuti che hanno seguito la nascita di entrambi i miei figli.

Tanta stanchezza, la sensazione di esserti liberata di un peso e al contempo il rimpianto di quel pancione che per nove mesi ti ha accompagnata ritmando le tue albe e i tuoi  tramonti.
Sono dichiaratamente una shortstory teller, un’autrice a cui sta a cuore veder concretizzata la propria opera in poco, pochissimo tempo; cimentarmi in un romanzo mi è costato una fatica immane, primo tra tutti il timore di non riuscire a delineare in modo organico la storia che mi frullava dentro con la stessa dimestichezza con cui, da tempo, nelle mie ore di libertà, mi diverto a scrivere racconti brevi.

Alla fine ce l’ho fatta. Sono arrivata al traguardo duplice di portare a termine la narrazione di un’estate memorabile, quella di Marina Federici, protagonista del romanzo, e di renderla manifesta e palese ai miei lettori attraverso un’opera di editing altrettanto sofferta e corposa.

So che  qualcuno sorriderà, ma queste 154 pagine sono state le più lunghe della mia vita di donna essenziale, più incline a concretizzare in breve il mio mondo di pensieri. Evocando e suggerendo piuttosto che servendo, sia pure su un piatto d’argento, emozioni e stati d’animo per il tramite di immagini scrittorie che ciascuno potrà completare legandole alla propria esperienza di vita.

“La casa dal pergolato di glicini” è quasi pronta per affacciarsi sul mondo, racchiusa in una copertina che è la riproduzione fotografica di Massimiliano Giordano, mio giovanissimo editore, di un dipinto di Marian Fortunati, pittrice americana en plein air intitolato “Wisteria Shadows”. Un titolo suggestivo e quanto mai emblematico per introdurre una storia di amore, affetti profondi e amicizie per la vita.

Una storia intessuta di quotidianità come le piccole e grandi cose di cui mi piace parlare e scrivere, questa volta permeata dal profumo forte e deciso di un tralcio di glicine in piena fioritura.

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La Cumparsita

“Primavera Letteraria” è il titolo di un’antologia di trenta racconti selezionali dalla II edizione del Concorso Letterario “Scrivendo volo-Buk Modena”, sponsorizzato da Il Violino, gruppo Historica, nell’ambito dell’omonima fiera editoriale tenutasi nelle giornate del 23 e 24 marzo 2013. La raccolta comprende racconti brevi di autori esordienti ed emergenti che spaziano da tematiche forti come l’eutanasia, la violenza sui minori a storie di vita quotidiana, avventure d’amore e fiabe.

“La Cumparsita” è il mio personale contributo ed è la storia di Mario, pensionato, e della celebrazione che questi fa del compleanno di sua moglie Marisa. Con un finale decisamente a sorpresa e per certi versi catartico e  per lui riscattatorio.

Buona lettura

La Cumparsita *

Per gli altri sarebbe stata, forse, una giornata come tante. Per lui era il 20 di aprile ed era il giorno del compleanno di Marisa, sua moglie, che ora non c’era più.

Mario se lo ripeté con pacatezza, sorseggiando lentamente il suo caffè addolcito da una zolletta di zucchero ascoltando i primi gorgheggi di Bel Ami. Alle sue spalle una lama sottile di sole piombò in cucina dalla portafinestra del ballatoio, spartano ma ingentilito da piante in abbondante fioritura.

La zolletta di zucchero era un piacere che di rado si concedeva, soprattutto adesso che il contrappasso da subire erano i vivaci rabbuffi del suo dottore, preoccupato che da quella sovrabbondanza di dolcezza il suo stato di salute potesse patirne. Ma cosa poteva farci se a lui l’aspartame contenuto in asettiche bustine blu non piaceva? I primi granelli sciolti in bocca gli riportavano immancabilmente alla mente la polvere di borotalco con cui sua madre sin da bambino si incaponiva ad aspergerlo: finissima, impalpabile. Pronta, tuttavia, a lasciare tracce evidenti di se stessa nei posti più disparati e quando meno te l’aspettavi: sul bavero della giacchetta, ad esempio. Diventando spunto utilissimo per gli sfottò a metà tra il bonario e il sarcastico dei suoi compagni di classe, quando giovanotto, ai tempi della scuola, capelli rigorosamente impomatati e riga a sinistra, percorreva veloce, libri sottobraccio, i corridoi lucidissimi del liceo ginnasio del suo paese nei suoi abiti migliori di studente.

Il trillo del citofono lo fece d’improvviso sussultare; consultando l’orologio sulla parete di fronte seppe con certezza che era il postino nel suo giro quotidiano di consegna e decise di non aprire. Ammucchiate sulla console di marmo dell’ingresso c’erano tre fatture. Quando il giorno prima   ne aveva aperta una, quella della  fornitura del gas metano, gli era venuto un colpo: quattrocento euro erano davvero tanti e avrebbero pesato in modo considerevole sul suo magro budget. Avendone avuta contezza si era quasi sentito male e non era riuscito a darsi il coraggio necessario per aprire le successive due, quelle dell’elettricità e della nettezza urbana, altrettanto certo di non riuscire a farvi fronte.  Sollevando lo sguardo verso la cornice di legno chiaro dalle volute dorate aveva incrociato lo sguardo sorridente  e rassicurante di sua moglie. Con un sospiro impercettibile era tornato al tempo in cui lei c’era ancora; ai miracoli che sapeva fare, infilando senza sosta un tassello dopo l’altro nel mosaico della loro esistenza per comporlo con affidabilità e lievità. In quel frangente lei avrebbe certamente saputo come rimediare. Possedeva un’abilità particolare nell’amministrare le loro sostanze con amorevole accortezza ed efficienza, privandolo senza indugio della noia e della fatica mentale di occuparsene.

Bel Ami decise di lanciarsi in uno dei suoi assolo interminabili distogliendolo da quelle riflessioni cupe. Mario si era sempre stupito della capacità di quel canarino minuscolo, pochi grammi di piume, di tenere la scena con la possanza del suo canto, vigoroso al punto tale da fargli vibrare con persistenza i timpani. Eppure non doveva essere facile zampettare e svolazzare in una minuscola gabbietta; a volte lui, impietosito, provava ad aprirne lo sportellino, bene accorto che l’altro dal tinello non scappasse via lontano. Ma era comunque una sofferenza vederlo sbattere con le ali contro muri e arredi, impazzito di gioia e privo dell’antico senso di orientamento, sino a quando giocoforza non riusciva a convincerlo, un po’ con le buone e un po’ con le cattive, a rientrare nella sua prigione domestica.

In camera si levò la giacca del pigiama celestino di flanella e la poggiò con estrema cura sulla spalliera di una sedia dal fondo intrecciato, vestendosi con abiti puliti per la sua consueta passeggiata di metà mattinata,  terminando la sua toeletta con appena un’ombra di dopobarba. A Marisa  sarebbe piaciuto vederlo così. Gli era venuta un’idea per trascorrere quella giornata in odore di malinconia. Serrando con cura l’uscio sulle ultime note del suo beniamino, adeguatamente rifornito di becchime e acqua fresca per la colazione, piombò nella silenziosità di quel condominio di semicentro, deserto a quell’ora del mattino, aspettando con pazienza che l’ascensore lo raggiungesse al piano per portarlo nell’androne buio dal vago sentore  stagnante di umidità. All’aperto la primavera lo accolse stordendolo con la luminosità di un cielo azzurro privo di nuvole con probabilità spazzate via dallo stesso vento che si divertiva a sollevare qualsiasi minuzia trovasse in terra, giocherellando anche tra i suoi radi capelli bianchi. Con abilità consumata schivò umanità dopo umanità mantenendosi al limitare degli edifici. Oramai la fretta non faceva più parte della sua quotidianità, poteva permettersi il lusso di una camminata morbida, distesa. Gli venne da pensare a tutte quelle persone che si affannavano incrociandosi per strada senza sfiorarsi con lo sguardo; alle mille cose che segnavano le loro vite, impoverendole o arricchendole. A quella molla fatta di determinazione, di caparbietà, ma forse anche di amore ( per se stessi, per un’altra persona, per la vita stessa) che li spingeva con forza in avanti scandendo le loro giornate, colorandole o semplicemente riempiendole di piccoli gesti  che dessero un po’ di senso al loro incedere.

C’era stato un tempo in cui anche lui era stato della partita. Del lavoro aveva fatto la sua realizzazione personale, l’altare su cui immolare il meglio di se stesso come uomo, grazie anche alla profonda disponibilità di sua moglie che aveva capito e, con ammirevole devozione, si era tirata un passo indietro. Dedicandosi ai poveri della parrocchia, a un paio di nipoti acquisiti, alle sue piante di geranio, pronte a ogni primavera a rifiorire con gratitudine negli ampi vasi di coccio in fila come soldati sul balcone della cucina.

Non avevano avuto figlioli ma lui di questo non si era particolarmente dispiaciuto. La loro vita gli sembrava compiutamente  a posto, non avvertiva la mancanza di un terzo incomodo che potesse rubargli le attenzioni di quella donna bellissima e dolce che era sua moglie. Si erano conosciuti in una serata estiva allietata da una festa di piazza mezzo secolo fa. Lui era appena arrivato in città e aveva preso il posto in un ufficio della pubblica amministrazione, lei stava finendo di studiare da maestra. Tempo sei mesi ed erano diventati marito e moglie con la benedizione di entrambe le famiglie. Marisa era riuscita a diplomarsi dedicando buona parte delle sue serate domestiche allo studio mentre lui trafficava con la televisione, comprata a rate con i proventi dei primi straordinari. Quel pezzo di carta conseguito da sua moglie con estrema diligenza e determinazione, era finito nel fondo di un cassetto del comò senza che lei pensasse di farne un uso reale. Si erano amati per una vita intera con una dedizione totale che lui nelle coppie di oggi non riusciva a scorgere. Una vita  trascorsa in un soffio, quasi un battito d’ali, di cui aveva scoperto la preziosità nel momento in cui lei, con la discrezione di sempre, una mattina d’autunno di un paio di anni or sono se n’era andata. Quando lui se n’era accorto non aveva voluto crederci; lasciarlo così, in silenzio, senza una  parola di commiato. Si era sentito tradito e aveva aspettato attonito che le ore passassero lente sino a sera inoltrata; poi aveva raccolto le ultime forze residue e chiamato una vicina chiedendole di aiutarlo in quello che da solo non aveva proprio cuore di fare: vestirla per quell’ultimo viaggio con uno dei suoi chemisier fiorati così poco intonati all’atmosfera novembrina di quella giornata.

Il centro commerciale, meta di tante sue peregrinazioni, era quasi in dirittura d’arrivo. Ci andava piuttosto spesso, accolto dalla musica di sottofondo inframmezzata dai tanti annunci pubblicitari, le signorine delle promozioni, le vetrine seduttivamente illuminate e la grande e monumentale fontana a cascata, circondata da piante tropicali così verdeggianti da sembrare quasi vere. A volte si contentava di un giretto tra il pianterreno e il secondo piano, pavoneggiandosi sulla scala mobile ben impettito, quasi ad avere il controllo di quel mondo fantasmagorico in cui potersi perdere per qualche ora, guardando dall’alto in basso quella variegata moltitudine, simile a formiche operaie obbedientemente in marcia verso una meta prefissata con rigorosità da un capo invisibile. In altri momenti decideva di fare visita al supermercato a caccia di offerte promozionali, riposando poi col bottino su una sedia di plastica del bar caffetteria a ridosso dell’uscita, scrutando i volti dei nuovi arrivati e di coloro che, ultimato il giro degli acquisti, con meno leggerezza si apprestavano a fare ritorno a casa. Constatando assai spesso come la sovrabbondanza di alcuni carrelli fosse inversamente proporzionale all’entusiasmo e alla felicità dei loro proprietari.

E intanto fantasticava di storie di cristiani di cui raccontare  mentalmente alla sua Marisa, immaginando di commentare con lei bonariamente ciò che in passato aveva costituito per loro sommo divertimento.

Quel giorno, tuttavia, indugiare nel loro passatempo preferito non gli dava la soddisfazione solita. Pensare al compleanno della sua amata, non più accanto a lui, e a quelle maledette fatture destinate e ricoprirsi di un velo impalpabile di polvere gli dava un tormento indicibile.

Con un gesto di stizza che lasciò interdetta la giovane promoter che l’aveva avvicinato disdegnò l’assaggio di torta che questa gli proponeva, continuando a vagare da uno scaffale all’altro senza una parola neanche a se stesso; alla ricerca di qualcosa d’indefinibile che non riusciva ad inquadrare, reggendo in mano la sportina vuota che quella volta non gli riusciva proprio di riempire con qualcosa. Poi d’improvviso fu colpito da un pensiero bizzarro, risollevandosi.

Il detective dell’ipermercato, spalle da giocatore di rugby insofferente sotto il vestito scuro di ordinanza,  traccheggiava con noncuranza con la signorina del caffè in offerta speciale.  Quelle schermaglie amorose tra una degustazione e l’altra erano l’unico modo possibile per tirare in modo accettabile quella giornata soporifera, senza mordente. Diviso tra il generoso decolté della ragazza e la  porta d’ingresso principale,  degnò appena di uno sguardo quel pensionato in cravatta demodé e giubbino scolorito tirato sino al mento, sagomato addosso in modo davvero singolare. L’uomo li oltrepassò e rispose con un brusco cenno di testa al saluto della promoter, il volto ostinatamente rivolto davanti a sé, puntando con troppa  sicurezza l’uscita senza acquisti a poca distanza da loro. L’annuncio del megaconcorso in atto – primo premio una lussuosa autovettura ibrida! – dissimulò malamente il sibilo del dispositivo antitaccheggio, mentre la filodiffusione iniziava a diffondere una vecchia melodia a ritmo di tango. Il vigilante ricordò che la Cumparsita  era stato cavallo di battaglia dei suoi nonni in innumerevoli estati trascorse in balera sulla riviera. Trasalendo al peso di quel ricordo che era riuscito a strappargli un’ombra di sorriso, abbandonò di colpo la sua compagna per seguire l’anziano, dribblando a fatica una famigliola di turisti stranieri al completo e il loro carrello stracolmo di cibo che gli avevano  d’improvviso sbarrato il passo.

Accecato dal fiotto di luce intensa ricevuta  bruscamente in volto all’apertura delle porte scorrevoli, Mario attraversò il parcheggio semideserto cercando col cuore in gola un’oasi cui porre riparo col sudore che gli imperlava il viso contratto dalla fatica di farcela a tutti i costi.

All’ombra di un’acacia in piena fioritura si sbottonò con fatica la giacca, traendo sollievo dal fiotto benevolo di aria fresca e profumata. Con una smorfia soddisfatta contemplò  il suo bottino, una bottiglia di ratafìa e una scatola di ricciarelli, sicuro che Marisa avrebbe incondizionatamente approvato la sua scelta.

Assaggiandone uno lasciò con voluttà che gli si sciogliesse in bocca, gustandone pian piano il sapore delicato. A occhi chiusi avvertiva la stessa fragranza lieve aleggiante nella loro camera da sposi il giorno delle nozze: un lieve e beneaugurante sentore di vaniglia e di cose buone, pulite.  All’epoca lui e Marisa avevano percepito il mondo intero nel palmo di una mano sola che, tanto per scaramanzia, non avevano stretta a pugno; si auguravano che la vita sarebbe stata con loro indulgente, lo speravano di cuore. E per certi versi era stato così, il destino li aveva fatti incontrare e aveva permesso che condividessero con amore, affetto, rispetto una fetta considerevole di cammino insieme. A molti non era capitato, convenne, poteva ritenersi ampiamente soddisfatto. Spingendo da parte la bottiglia di ratafìa, troppo stanco per provare a stapparla per un brindisi, si rilassò sulla panchina di ferro levigata dai tanti avventori di passaggio, poggiando la nuca sulla sommità della spalliera. Se in quello spicchio di cielo poteva ancora scorgere le rondini sfrecciare puntualissime all’appuntamento di stagione, malgrado quell’aria grigioazzurra cittadina e dolente, c’era ancora  speranza per sé e per tutti pensò, finalmente rasserenato e in pace con il mondo intero.

Il vigilante, occhiali da sole ben inforcati, focalizzò con sveltezza professionale l’immagine lontana dell’uomo, appena un puntolino seduto su quell’accenno di collina, pochi alberi ad ombreggiarla come retaggio lontano del giardino pubblico che un tempo era stato. Era sua intenzione raggiungerlo di soppiatto per contestargli l’accaduto e chiedergli di seguirlo. In tono soffocato l’altoparlante esterno riprodusse gli ultimi brandelli della Cumparsita   mescolati a voci umane e a rumori di automobili in movimento, pigra routine sonora di  un giovedì pomeriggio di primavera avanzata.

Un solo attimo per ghermire con piglio deciso e mascolino la spalla magra di Mario e un attimo ancora per riceverne, con stupore, sul dorso la testa coperta di capelli immacolati, sottili e radi, reclinata con garbo. In paziente, pacata resa.

Alla sua destra l’ombra vaga di una donna eterea, capelli biondi al vento e sguardo luminoso all’orizzonte lo degnò appena di uno sguardo. Poi, quasi con sfida, si protese verso il suo sposo e, prendendolo per mano con grazia decisa e irridente, lo portò via con sé, lontano.

Lucia Guida

* “La Cumparsita” in A.A.V.V., Primavera Letteraria, Roma, Il Violino Edizioni, 2013

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Celebrating Women

Mala tempora currunt per le Donne italiane. Ciascuna di noi avverte la sofferenza segreta di far parte di una categoria a rischio, molto più a inizio di questo millennio che in precedenza. E’ come se la lunga strada percorsa da tantissime donne ( e da me avvertita con un brivido di vitalità nuova negli anni della mia adolescenza, vissuti all’ombra delle lotte quotidiane delle tante femministe che cercavano anche per me, allora poco più di una bambina, orizzonti migliori) si fosse a un certo punto interrotta e qualcuno ci avesse intimato con voce decisa di tornare indietro sui passi compiuti.

Sembra quasi un paradosso, ma di Donne si ha ancora la necessità di parlare. Ben vengano, allora, occasioni come il Festival Rosadonna, celebrato nelle giornate del 23, 24, 25 e 26 maggio 2013 a Pescara presso il  Circolo Aternino di piazza Garibaldi. Ideatrice poliedrica del festival Cinzia Maria Rossi, presidente provinciale dell’ANFE.

Nell’ambito della rassegna editoriale, venerdì 24  maggio 2013 ho parlato, attraverso i miei racconti, delle mie storie di donne in un clima di inclusività al femminile e al maschile. Chiudendo il mio breve intervento con questa poesia, scritta un paio di anni fa in occasione dell’8 marzo e recitata in più di una circostanza, per ricordare a tutti come il Rispetto verso la Donna non possa essere soltanto mera celebrazione episodica ma debba scaturire, piuttosto, da progetti educativi consapevoli, rinnovati da noi tutti nella quotidianità più spicciola come anche nelle grandi eventualità.

Non regalateci mimose

Non regalateci mimose

comperate da fiorai distratti,

vaporosi ed effimeri

pegni di risarcimento

di amori trascurati e delusi:

dureranno una manciata di pensieri

in un giorno isolato

che non ci farà sbocciare

esplodendo di vita piena.

Non riempite il vaso del vostro rimorso

con splendidi fiori recisi di serra;

quel dito d’ acqua che li terrà vitali per poche ore

non potrà sostituire

la terra grassa e bruna

di un campo all’ aria aperta.

Offriteci, invece, una pianta d’ ulivo;

minuscola

ma con radici ben piantate al suolo

sferzata dal vento

blandita dalla pioggia

accarezzata dal sole.

E’ quello di cui noi donne

più abbiamo bisogno:

bellezza infinita

che traspare da sembianze semplici

e cura costante degli elementi,

l’ abbraccio forte, vero

e fragile

di un uomo che è verità, forza

e fragilità.

Questo e questo soltanto

ci necessita

e non già vetro trasparente di serra

mentre fuori imperversa

la bufera.

Lucia Guida

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“Ulivo pugliese”, Eva Evita 

Dagherrotipi emotivi

La maternità vista da una prospettiva privilegiata, quella di una neonata di pochi giorni.

La mia proposta di lettura per voi di oggi è “Dagherrotipi emotivi”, racconto breve contenuto in ” I volti delle donne “, parte di Oro e Argento, Piccola Enciclopedia di Autori Contemporanei a cura di Vera Ambra per le Edizioni Akkuaria

 

 

Dagherrotipi emotivi

Mi sveglio e riconosco appena le cose che mi circondano. Ma la mia è solo un‘ impressione momentanea dettata forse dalle ultime ombre che ancora mi avvolgono.

So perfettamente dove sono.

Sono al centro di un enorme letto e voltando il capo posso percepire con chiarezza i tanti elementi che oramai, anche se da pochissimo, fanno parte della mia quotidianità: il comò bianco laccato, la specchiera ovale, una finestra perennemente schermata che permette a pochissima luce di filtrare all’ interno di questa camera quando ci sono anch’ io.

Sono in attesa di lei. Ne percepisco già l’odore, sento che arriverà presto, è il mio istinto che parla. Lei non può mancare perché io e lei siamo legate a stretto filo.

Mi giro lentamente e la mia guancia  si strofina delicatamente contro il lenzuolo bianco di cotone. Non sono ancora disinvolta nei movimenti e qualsiasi inversione di rotta mi costa una fatica enorme. La fatica di chi si è schiuso da poco al mondo esterno e non sa ancora remare con decisione in mare aperto. Oltre al suo odore, forte e penetrante, che ha impregnato in profondità le fibre del tessuto su cui sono stata poggiata e i miei stessi indumenti, riesco a percepire la sua voce gentile attraverso la parete. Tra pochi istanti quella porta di legno scuro si aprirà e lei sarà tutta per me. Siamo una sola cosa, io e lei: lei è parte di me e io sono parte di lei, in un legame che è vincolo di affetto e di sangue per il resto della vita di entrambe, nel bene e nel male, attraverso una quotidianità scandita nell’ ordinario e nello straordinario dal fluire incessante del tempo.

Sono abbastanza tranquilla e non è il caso di abbreviare la nostra momentanea separazione con un richiamo che lei sarebbe capace di riconoscere tra mille, nella foresta più intricata e selvaggia come in una moltitudine urbana presa da mille affanni. Di questo sono certissima, e lo sono sin da quando la mia vita ha deciso di prendere forma in lei annunciandosi con movimenti lievissimi e infinitesimali accennati con decisione e vitalità.

Attraverso il tono della sua voce riesco anche a comprendere il suo umore del momento. So individuare emozioni e stati d’ animo dai suoi gesti, dalle  espressioni silenziose ma eloquenti del suo volto, dal modo che ha di stringermi a sé  e cullarmi rendendomi parte del suo microcosmo.

In fondo lei è mia madre e io sono la sua creatura.

Io sono Immagine e Somiglianza dei suoi sogni e delle sue paure, delle sue speranze di riscossa futura e del rimpianto per tutto ciò che è oramai inesorabilmente parte del passato e non può più ritornare. Patto indissolubile e promessa di eternità concretizzati in carne e sangue, in cuore e mente. In me.

Eccola. Mi guarda per accertarsi che io stia ancora dormendo e quando ha la percezione chiara di come io non lo stia più facendo da tempo alza leggermente il tono di voce per seguitare a parlare al cellulare con qualcuno che non è qui con noi, elemento estraneo in questo istante perfetto e perfettibile ma tuttavia in perfetta armonia, all’ oggi fonte del suo star bene e quindi anche del mio. La sua voce lambisce le pareti, accarezzandole, e a volute si spande sottile nella stanza in penombra, accompagnando il suo sguardo vigile e tuttavia perso in un desiderio lontano. Ancora per un attimo, prima che lei decida di poggiare il telefono ai lati del letto che mi contiene nel  cono di luce di un abat-jour, stendendosi lentamente accanto a me. La guardo. Ci guardiamo entrambe a lungo negli occhi riconoscendoci lentamente come sempre, prima che io decida di reclamare con garbo il necessario per nutrirmi e che lei, docilmente, accetti di adeguarsi alle mie esigenze.

Succhio da lei latte, amore e senso di beatitudine, consapevole di trasmetterle altrettanto benessere. La osservo rapita e lei per un attimo socchiude gli occhi continuando comunque a stringermi a sé e a ninnarmi in una stretta che è mille canzoni insieme e forse più. Cedere alle lusinghe di Morfeo è cosa inevitabile, circondata da una tenerezza che è anche tepore e morbidezza di braccia che ti stringono premurosamente, trasmettendoti energia vitale senza avvilupparti troppo; il necessario per farti respirare con ampiezza senza soffocarti. A volte  di notte avverto il tocco gentile della sua mano sul mio petto per controllare che il mio battito, delicatissimo come ali di farfalla, ci sia ancora. Se potessi proverei già da ora a regalarle un sorriso per questo amore che è pura osmosi tra di noi, in uno scambio continuo che è gara incessante giocata in fairplay, arricchimento per entrambe, ma non ne sono ancora capace. Spero, un giorno, di poterlo fare e di potermi ricordare di tutte queste sensazioni che empiono il mio cuore spalancando di stupore continuo i miei occhi già avidi di vita.

Per ora mi accontento di fluttuare in una zona di luce e d’ ombra che mi riporta indietro, nei momenti che hanno preceduto la mia nascita, quando non c’ era alternanza alcuna di giorno e di notte e tutto era ovattato dallo sciabordio del liquido che mi conteneva e ricopriva nel grembo di mia madre, modellando al suo passo e ai suoi ritmi di veglia e sonno i miei. Con estrema ed essenziale semplicità, in una forma di dipendenza naturale come quel funicolo che mi assicurava sostentamento e che era ancora sicura alla sua vitalità e prova tangibile dell’ avermi voluta.

Ora sono nuovamente sola in questa stanza ma avverto con nitidezza la sua presenza a breve da me, in una comunione di spazio e tempo che durerà ancora a lungo, ne sono certa, né mi sfiora minimamente la paura che lei possa scomparire nel nulla. E’ il mio istinto a congiungermi biunivocamente a lei fortificando la sua vocazione di madre attraverso vibrazioni impercettibili e fortissime che  oramai da mesi raggiungono il nucleo delle nostre emotività, rinnovandolo e vivificandolo di continuo.

L’altro giorno ho sentito con chiarezza un mutamento d’ aria, una sfumatura d’ accento, un refolo di vento meno mite del solito avvertendo in lei una tristezza infinita attraverso lacrime contenute e compresse in gesti più misurati del dovuto. Mi ha stretta a sé quasi a colmare un vuoto che la scavava e non ha saputo, quella volta, sorridermi a tutto tondo.

Io l’ho guardata muta attraverso il mio velo di nebbia, confortata dal suo odore di madre e ho sussultato piano, con discrezione solidale e appena un cenno d’ insofferenza, da lei prontamente captato. Allora pervasa da nuova energia si è sforzata di essere nuovamente faro della mia esistenza facendomi nel contempo punto di riferimento imprescindibile della sua. E tutto ha riacquistato  proporzione e senso. Quelli ancestrali che legano indissolubilmente da subito il cucciolo all’ animale che l’ha generato attraverso la propria carne e il proprio sangue gratuitamente e senza alcuna riserva.

Non so se in futuro conserverò memoria di questi miei primi pensieri rubandoli al tempo e alla sua ferma propensione, nel suo poderoso balzo in avanti, a cancellare eventi e cose affiorati alla coscienza per  trasformarli in sequenze ordinate, algoritmiche e routinarie catalogate con certosina pazienza  e precisione ma prive della fragranza che le ha generate.

Ho tuttavia speranza che in avvenire questo miracolo possa ripetersi.

Magari in una creatura che porterò in grembo con vincoli di sangue e di cuore o,  se ciò non potrà accadere, nel sorriso di mille bambini incontrati per le vie del mondo. In un altro tempo, in un altro luogo o dimensione, chissà.

Rinnovando con consapevolezza questo dagherrotipo affettivo di immagini simili e angoli di prospettiva diversi generati tuttavia da medesimi sentimenti.

Ho all’improvviso un enorme bisogno di dormire. Voglio sedimentare attraverso la dolcezza e la immaterialità di questi miei primi momenti di vita queste esperienze per palesare un giorno la mia essenza, a oggi segretissima e misteriosa ma tuttavia presente e  già delineata in nuce, di figura compiuta di donna.

Ma non è ancora il tempo, e il mio cammino è al momento ammorbidito dal passo accorto e  lungimirante di mia madre che spiana per me, sua figlia, qualunque impercettibile  asperità del sentiero.

Saprò trasformarmi da crisalide in farfalla leggera che si disfa del suo bozzolo setoso con entusiasmo, con fatica. E’ scritto nel mio destino. Percepito, sognato, immaginato da entrambe con lievità pensosa, in fiduciosa attesa.

In una cornice che adesso è profumo di borotalco, luce soffusa e musica lieve di carillon ma che sarà anche, in avvenire, odore di brezza marina rigenerante e fresca, sottile, oppure onda vigorosa di maestrale, greve  e umida di salmastro all’ alba imperiosa del giorno che con tenacia si rinnova. *

Lucia Guida

Dagherrotipi emotivi in A.A.V.V.,” I volti delle donne “, Catania, Edizioni Akkuaria, 2012

 

i volti delle donne

Goodbye April

Aprile è stato un mese di grande costruttività e produttività, permettendomi di realizzare moltissime cose.

Con gli amici del F.I.A.E. ho portato a termine la stesura semidefinitiva di “Luglio”, una puntata di sapore noir parte del romanzo Dodicidio edito nella collana POP libri in giugno dalle Edizioni La Gru e che è già visibile in grandi linee sul sito di questa casa editrice padovana.

Ho, poi, partecipato domenica 14 con il mio racconto edito Bella bella bella a un caffé filosofico de Lo spazio di Sophia, Associazione culturale per le pratiche filosofiche di Pescara. Abbiamo parlato di estetica, di gestione consapevole e non della propria corporeità, di equilibrio psicofisico e di molto altro con un particolare accento a ciò che l’aspetto fisico spesso riveste nella società odierna, fortemente legata all’immagine, vera o presunta di noi stessi, da noi  proiettata all’esterno.

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Dopo la bella intervista a cura di Laura Costantini per Scrivendo Volo ho avuto finalmente la possibilità di vedere anche nel web sul sito di Rosa TV, emittente televisiva digitale abruzzese, la mia “conversazione letteraria” con Catia Napoleone, scrittrice e conduttrice, con cui ho parlato di Donne e femminilità prendendo spunto dai racconti del mio “Succo di melagrana”.

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Sabato 27 aprile ho partecipato alla premiazione del Concorso Letterario Nazionale “Città di Grottammare”  come finalista, 4° posto ex-aequo, con un mio racconto breve inedito.

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Domenica 28 aprile ho, infine, presentato presso l’Associazione Culturale OliS il libro di Simone Angelucci e Alessandro Sonsini “La morra”, incisivo spaccato di quella parte della società agrorurale abruzzese che rischia di scomparire se con rinnovata consapevolezza comunità e istituzioni dei paesi pedemontani e montani del comprensorio della Majella non prenderanno seri provvedimenti lavorando in stretta sinergia.

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Con esercizio di estrema pazienza e di buona volontà sto continuando l’editing del mio romanzo di prossima pubblicazione sempre con la Nulla Die e da una decina di giorni con rinnovata motivazione, grazie alla disponibilità di Marian Fortunati,  pittrice en plein air americana che con estrema generosità ha accettato di farmi utilizzare un suo dipinto per la copertina del mio nuovo libro.

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La melagrana con la sua traccia vermiglia, discreta e persistente   cederà presto il posto a una fragranza intensa e altrettanto durevole, quella del glicine in fiore, al centro di un romanzo breve che parlerà di amore, amicizia, rispetto per se stessi e scelte di vita.
Argomenti importanti e veri tratti ancora una volta da vicende di ordinaria amministrazione perché non è detto che dalla quotidianità più spicciola non si possa imparare e talvolta anche sognare.

Nell’immediato ancora tanta strada da percorrere. In attesa, a fine maggio, di passeggiare con lievità sulla strada della routine a tinte rosa con la partecipazione delle mie storie evergreen di donna al primo festival dell’eccellenza femminile abruzzese Rosadonna che si terrà a Pescara, nel cuore storico della città grazie all’intraprendenza e alla verve di Cinzia Maria Rossi.

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Scrivere Donna è bello

“Progetto Scrivere Donna” è un’idea di Laura Costantini, giornalista RAI e scrittrice, per Scrivendo Volo, spazio web di Historica Edizioni dedicato agli amanti della scrittura e della lettura.

Il motto di quest’iniziativa, nata nel novembre 2012 su Facebook recita testualmente:
” Le donne e la scrittura. Le donne e il web. Le donne e il rapporto con gli uomini. Le donne e la maternità. Le donne hanno voglia di raccontarsi. Ascoltiamole. “.

La mia proposta per voi di oggi è la bella intervista di Laura alla sottoscritta, in cui trovano posto riflessioni tecniche di tipo scrittorio ma anche pensieri e notazioni sulla quotidianità.

Buona lettura

 

SCRIVERE DONNA 28/ Intervista a Lucia Guida, di Laura Costantini

Oggi è il turno di Lucia Guida, scrittrice che non esita ad affermare che: “in Italia essere donne non è sempre chiave di accesso preferenziale nella scrittura come nella quotidianità più… Ti basti sapere che una volta mi è capitato che un conoscente mi chiedesse se il mio libro intitolato “Succo di melagrana” vendesse bene come libro di ricette. Sono sicura che il personaggio in questione fosse assolutamente in buona fede.”

– Quando hai deciso di scrivere e perché?

R:  Ho iniziato a scrivere da bimba continuando a farlo con una certa passione fino all’adolescenza. Poi la vita mi ha condotta per altre strade in cui c’era davvero pochissimo posto per la scrittura.  Ho ripreso a farlo tardissimo, nel 2007, anno in cui ho cercato di mettere a punto molte cose della mia vita. All’inizio in un  blog della community di “libero”, un po’ per gioco e forse anche per ritrovare la me stessa di un tempo; riprendendo pian piano la mano e scoprendo con piacere che  le mie storie potevano interessare anche altri.

 

– Che tipo di libri leggi normalmente?

R: Non ho generi letterari preferiti; mi piace leggere di tutto senza pregiudizi di sorta e senza lasciarmi attrarre da ciò che è trendy a tutti i costi. Volendo e potendo scegliere, preferisco non comperare libri fantasy, pulp e noir.

 

– Hai mai preferito un libro a un altro per il genere dell’autore?

R: Se per genere dell’autore intendi orientarmi nella lettura preferendo un autore che amo (e quindi anche la sua originalità scrittoria in certo qual senso)  ad altri, ti risponderò che a volte mi è capitato di essere un po’ partigiana, pur non pendendo sempre dallo stesso lato. Per me leggere cose diverse è anche un modo, tra l’altro piacevolissimo, di aggiornarmi nel mare magnum dell’editoria odierna, in  equilibrio costruttivo tra l’utile e il dilettevole.

 

Hai mai avuto la sensazione che il tuo essere donna potesse, in qualche modo, ostacolare/favorire la tua passione per la scrittura?

R: Qualche volta mi è capitato e lo dico con semplicità, come notazione

di cronaca. Diciamo che da noi in Italia essere donne non è sempre chiave di accesso preferenziale nella scrittura come nella quotidianità più spicciola se al primo posto metti la testa piuttosto che altro. E qui mi fermo, prima di diventare maggiormente “caustica”, come direbbe mia figlia. Ti basti sapere che una volta mi è capitato che un conoscente mi chiedesse se il mio libro intitolato “Succo di melagrana” vendesse bene come libro di ricette. Sono sicura che il personaggio in questione fosse assolutamente in buona fede.

 

– Ritieni esista e sia individuabile una scrittura al femminile?

R: Perché no? In fondo si parla bene e compiutamente di ciò che si conosce altrettanto bene. A patto che ciò, tuttavia, non diventi alla lunga una sorta di gabbia dorata da cui sia difficile volar via.  Sperimentare approcci scrittori diversi potrebbe in tal senso evitare il rischio che come autrici ci si fossilizzi su tematiche monotono. Ad ogni modo l’universo femminile è talmente complesso e variegato da costituire sempre, almeno per me, un terreno fertilissimo d’ispirazione.

 

– Ritieni esista un pregiudizio nei confronti di un’autrice da parte dei lettori uomini?

R: Sarebbe ipocrita negare il fatto che nell’acquisto di un’opera, specialmente nel caso di un autori esordienti/emergenti, ci si orienti da un verso piuttosto che da un altro. Differente è il caso di scrittori e scrittrici affermati, credo ci siano meno spartiacque da considerare. Si compra quel determinato libro a prescindere dal fatto che l’abbia scritto un lui o una lei. La bravura e il talento non hanno mai nuance di colore predeterminate.

 

– Hai mai avuto la sensazione di una preclusione editoriale nei confronti delle donne?

R: La domanda è interessante e, se mi consenti, “ a doppia uscita ”. Se ci si lascia influenzare dal fatto che la scrittura debba necessariamente essere di genere ( ne stavamo parlando giusto qualche domanda fa! ), c’è da considerare come in maggioranza il popolo delle lettrici sovrasti quello dei lettori. E, quindi, in un’ottica di mercato potrebbe sembrare che le autrici siano in tal senso leggermente più avvantaggiate rispetto agli autori. A patto, tuttavia, di non ricadere nell’empasse di cui sopra: cristallizzarsi, cioè, in una tipizzazione letteraria che non aiuta certamente a crescere. Di sicuro in passato uno pseudonimo au masculin aiutava a emergere, se pensiamo a una George Sand  o a una George Eliot. A volte mi è venuta la tentazione di verificare se a oggi la situazione sia rimasta invariata oppure no, ma poi non  l’ho fatto: anche in tempi come i nostri, non sempre favorevoli in generale all’accoglimento di prospettive al femminile nei campi più disparati, sceglierei senz’altro di rinascere donna.

 

– Storie d’amore nei romanzi, pensi sia una roba da donne?

R: L’amore, che ci piaccia o no,  fa parte dell’esistenza  e non è sempre connotato da un happy ending. Parlarne in un romanzo o in racconti brevi con naturalezza è semplicemente prendere atto, nel bene e nel male, della forza di questo sentimento che spesso incide sulle nostre scelte di esseri umani.

 

– Esiste un pregiudizio nei confronti della cosiddetta narrativa rosa? E, se sì, come si manifesta?

R: Della narrativa rosa come genere letterario minore o come una specie di non genere, almeno a detta degli autori più seriosi? Il pregiudizio c’è e c’è sempre stato, portando spesso a snobbare autrici e autori che vi si dedicano stabilmente. Sta di fatto che alcuni ci riescano davvero bene; con una correttezza formale e intrecci ben congegnati, molto meglio di tanti scrittori “impegnati”, spesso deludenti nelle loro soluzioni scrittorie.

 

– È possibile, a tuo parere, una collaborazione tra scrittrici così come si configura tra scrittori nella creazione di movimenti letterari (New Italian Epic o TQ, per esempio)?

R: Io credo che la tanto sbandierata assenza di solidarietà femminile sia un pretesto per rafforzare stereotipi  in molte realtà sociali, tra cui quella del nostro paese, e che le donne possano fare grandi cose insieme. Dovremmo, forse, lavorare su questo tipo di cultura, soprattutto sull’aspetto di inclusione che l’appartenenza a gruppi o correnti letterarie presenta, per affinarlo al meglio. Magari considerando l’azione di stimolo le une per le altre, rappresentata dalla condivisione di linee comuni di pensiero nella creazione di un’opera letteraria. Una prospettiva raggiungibile non in  tempi brevissimi ma non impossibile.

 

Molte donne lamentano la difficoltà di dedicarsi quanto vorrebbero alla scrittura e i sensi di colpa per la necessità di trascurare altre cose. Tu come ti poni?

R: Non faccio eccezione collocandomi spesso sulla stessa lunghezza d’onda di tantissime donne come me divise tra mille situazioni. Nel mio progetto esistenziale ci sono due figli e un lavoro che al momento è la mia fonte di sostentamento principale. Posso, tuttavia, contare sulla comprensione dei miei ragazzi: non mi hanno mai fatto pesare la mia passione per la scrittura né il fatto di improvvisare un pranzo o una cena all’ultimo momento perché in quel frangente avevo voluto dare la precedenza a un momento di creatività sostanziosa.

 

– Cosa ne pensi dei fenomeni editorial-marketing degli ultimi anni e della fruizione soprattutto femminile che li caratterizza?

R: Mi viene in mente la pluricitata affermazione di Ogilvy, che molto britannicamente testualmente recita “Non contare le persone che raggiungi, ma raggiungi le persone che contano”. Ora io credo che nella fenomenologia del marketing editoriale non sempre contino davvero “ le persone che contano”. Che è capitato in più di una circostanza di propinare al pubblico femminile roba di qualità dubbia, sottovalutandone la capacità critica. Pensando che la stragrande maggioranza delle donne fosse in tal senso “di bocca buona”. Un preconcetto desolante oltre che profondamente discriminante.

 

Laura Donnini, nuovo direttore generale Edizioni Mondadori, ha annunciato che ci sarebbero molte autrici a lavoro per sfornare trilogie erotiche in linea con la moda soft-porn o mom-porn. Come ti porresti davanti alla proposta di entrare nel ciclo produttivo?

R: Da una posizione oltranzista di rifiuto, decisamente. Una notorietà conquistata a tavolino mi riporta alla scena orwelliana delle impiegate del Minicult, accuratamente  scelte per elaborare romanzetti porno farciti di sesso  a gogò e di un’infinità di luoghi comuni. Preconfezionati per “tenere buona” la gente. Essere in busta paga seppur di una grande casa editrice, orientata verso il soft-porn e/o il mom-porn,  poco vale se il prezzo da pagare è quello di scrivere di qualcosa che non senti. I vestiti adattati, si sa, finiscono presto con l’essere dimenticati nel fondo di un armadio. A costo di sembrare snob preferisco scelte editoriali differenti e di qualità, magari portate avanti da piccole ma dignitose case editrici NAP.

 

– Pubblicare purché sia è un principio da perseguire?

R: Se hai voglia di costruirti un curriculum letterario dignitoso non credo sia questa la strada da seguire. Ed è questa la ragione per cui consiglio a chi ha il desiderio di vedere “nero su bianco” ciò che ha scritto di rivolgersi a case editrici non a pagamento. La selezione è assicurata a priori.

 

– Come ti poni davanti al dilagare dei fenomeni editoria a pagamento, print on demand o self-publishing?

R: Credo di aver detto tra le righe cosa io pensi degli EAP. Il discorso è lievemente diverso per  il print on demand o il self-publishing. Anche in questo caso tutto va ricondotto a una questione di priorità: gli autori che si avvalgono di questi canali alternativi dovrebbero chiedersi perché hanno deciso di pubblicare e avvalersi, comunque, della consulenza di un buon editor o, meglio, di un’agenzia letteraria a cui demandare gli aspetti pratici di pubblicizzazione e propaganda dell’opera. Esistono, poi, problemi ancora più concreti come quello della distribuzione. Se ti autopubblichi ( e sto prescindendo dalla qualità vera o presunta dell’opera ) devi poter far circolare quanto hai scritto oltre a regalarlo ad amici, parenti o conoscenti . Un libro creato e stampato con tutti i crismi non può finire in cantina tra oggetti obsoleti e inutilizzati.

 

– Cosa ritieni che possa far la differenza nell’attirare un lettore: copertina, titolo, autore personaggio, passaggio televisivo o D’Orrico che si innamora di te?

R:  Potrei sempre risponderti che D’Orrico non è il mio tipo ma che diversamente … Scherzi a parte sono convinta che tutto contribuisca alla buona riuscita della pubblicizzazione e propaganda editoriale:  di pancia e con consapevolezza retroattiva punterei su una copertina capace di sedurre il potenziale lettore di primo acchito oltre a una quarta di copertina essenziale ma esaustiva, s’intende. I passaggi televisivi e le presentazioni dal vivo dell’opera sono, inoltre, estremamente importanti per l’effetto di ricaduta che ne deriva sull’autore:  ascoltarlo parlare può predisporre quanto meno all’acquisto del libro. Poi sta a lui fare buon uso della fiducia concessagli dai  lettori elaborando prodotti editoriali di buona qualità.

 

Quali tuoi buoni propositi salterebbero davanti a un improvviso successo?

R: Mi piacerebbe essere un po’ più frivola nelle cose più spicciole della quotidianità. Al momento non sempre posso concedermelo.

 

– Sei autrice del bestseller del momento, tradotta nel mondo, milioni di copie: togliti uno o più sassolini dalla scarpa.

R: Odio i sassolini nella scarpa, metaforicamente parlando e no. Forse proverei a gestire nel modo più normale possibile il mio successo, sperando di farne un uso ottimale. Per il resto io appartengo alla categoria di coloro che, seduti, aspettano con pazienza in riva al fiume.

 

– Scrittore/scrittrice preferito/a vivente e motivazione.

R: D’emblée?  Tracy Chevalier . Per avermi riconciliata col romanzo storico trattando con lievità e in modo estremamente moderno, contemporaneo, tematiche importanti. Descrivendo la vita così com’è, senza contorsioni o acrobazie. La quotidianità è, a mio avviso, fatta di persone comuni capaci di trasmetterci comunque messaggi  di straordinaria intensità partendo da cose apparentemente insignificanti come, ad esempio, un fossile ritrovato su una spiaggia o un mix di sostanze ridotte in polvere per la coloritura di un quadro. Blake avrebbe detto “ to see a world in a grain of sand”: una prospettiva visiva privilegiata  che dovrebbe essere appannaggio di ogni buon scrittore.

 

– Scrittore/scrittrice vivente che non riesci ad apprezzare e perché.

R: Posso avvalermi della facoltà di non rispondere?

 

– Parlaci del tuo ultimo lavoro e fornisci un motivo per cui dovremmo leggerlo.

R: Al di là di piccole ma significative collaborazioni in collane di autori vari, il mio ultimo lavoro da solista in ordine di tempo pubblicato è la silloge di racconti “Succo di melagrana, Storie e racconti di vita quotidiana al femminile” ed è un libro per tutti. E’ stato scritto nell’arco di tre anni e rappresenta in sintesi il mio cammino di crescita  scrittoria a oggi. E’ un’opera prima e, per tale ragione, una  dignitosa prova di volo. Prende spunto da una poesia dal titolo omonimo che ne costituisce il prologo e copre un arco temporale di circa settant’anni, dagli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale sino ai giorni nostri. Pubblicato a inizio del 2012 dalle edizioni Nulla Die , una piccola casa editrice indipendente NAP siciliana, è nelle mie intenzioni  il mio personale trait d’union per due mondi, quello della sensibilità femminile e maschile,  molto più vicini di quanto non si pensi. Esattamente a un passo l’uno dall’altro. Parla di donne forti capaci di scelte coraggiose: il mio messaggio di positività e di riscatto  per evidenziare l’infinita progettualità femminile che è in ciascuna di noi. Valiamo tantissimo anche se spesso lo dimentichiamo. Il mio ultimo lavoro in ordine di tempo è, invece, un romanzo attualmente in fase di editing in carico alla mia casa editrice, la Nulla Die. Della trama non dico nulla per scaramanzia anche se, per chi mi conosce bene, non sarà difficilissimo indovinare dove andrò a parare anche per questa volta …

 

Puoi fornirci un link che rimandi alla possibilità di acquisto? Grazie

R: Il libro è in vendita nei principali store online come Amazon, Ibs, libreria universitaria.it, lafeltrinelli, ecc. Il link delle edizioni Nulla Die è il seguente:

http://nulladie.wordpress.com/, a disposizione anche per gli ordini privati

Un grazie di cuore a te per la tua pazienza.

 

 

NB: L’intervista è disponibile in versione integrale qui

 

 

 

 

 

Dipinto di Lionello Balestrieri ( 1874 – 1958 )

 

 

 

 

 

Vita da prof

Ho scritto assai di rado racconti incentrati sulla mia categoria lavorativa, quella degli insegnanti. Probabilmente perché un processo creativo narrativo è anche, per certi versi, fuga dalla quotidianità più spicciola.

“Sinfonia d’autunno” è la storia di una prof che sta per congedarsi dai suoi alunni e dalla scuola in cui ha insegnato a lungo per intraprendere volontariamente un’esperienza lavorativa all’estero, in Irlanda. Il viaggio e il momento del distacco, nuclei tematici alla base di questo testo, diventano pretesto per sottolineare come dai rapporti interpersonali non si riesca mai a  sfuggire del tutto. E come in ogni desiderio di cambiamento e/o in ogni partenza sia contenuto in nuce il desiderio inconscio di fare ritorno, rappresentato dalla sottile malinconia di abbandonare cose e situazioni note.

Sinfonia d’ Autunno

Ottobre,  pensò con un impercettibile sospiro, annusando voluttuosamente l’aria che si offriva senza remore al suo olfatto affinato, serrando al mento il bavero dell’impermeabile. Ai suoi occhi si offrivano  le mille screziature cinerine di quel cielo autunnale in cui nuvole sfilacciate si rincorrevano facendo pendant coi mulinelli di foglie di platano accartocciate brunite, lì per il viale che portava alla scuola in cui insegnava. Un venticello beffardo la spettinò impietosamente  giocando a moscacieca ma lei non se ne curò. Si sentiva pienamente a proprio agio in quella giornata figlia del tempo e della stagione cui apparteneva.

Era in orario perfetto.  Poteva, quindi, permettersi di indugiare per la strada camminando a passo lento sotto il peso della borsa di tela a spalla che conteneva i ferri del mestiere: testi scolastici, un’agenda fiorata che la aiutava a ricordare con lievità maggiore i suoi appuntamenti lavorativi, un paio di pacchi di compiti dei suoi alunni diligentemente corretti, pronti per essere consegnati loro prima della sua partenza, prevista per quel fine settimana.

Nell’atrio dell’istituto la solita operosità di ogni mattina a inizio  giornata:  i ragazzi del prescuola appollaiati sui gradini della scalinata che conduceva al piano superiore, collaboratori affaccendati nel sistemare le ultime cose prima dell’incipit quotidiano, alcuni colleghi in ordine sparso tra la fotocopiatrice, il tavolinetto col registro degli avvisi, la sala docenti. Salutò tutti col timbro chiaro di sempre, attardandosi in uno scambio di battute con l’uno o con l’altra, pronta anch’essa per lo start. All’esterno, al di là della vetrata che dava sul cortile d’ingresso, ora brulicante a dismisura, pareva quasi che stesse per finire il mondo e aveva anche cominciato a piovere con decisione. Si chiese come sarebbe stato avere pioggia a colazione, pranzo e cena in quella piccola università a sud dell’ Irlanda in cui aveva deciso di continuare a insegnare l’Italiano; e se tutto il verde sconfinato di cui avesse potuto godere, l’avrebbe compensata della calura del sole e dei lunghi pomeriggi passati al mare a impigrire su una sdraio azzurra, attendendo che si facesse poco a poco sera.

Il trillo persistente e leggermente fastidioso segnò inequivocabilmente lo scoccare della prima ora di lezione. Con pazienza si trasse da parte, le braccia strette al petto, in un angolo non lontano dalla rampa che portava al primo piano, aspettando con calma che la fiumana di ragazzi vocianti la oltrepassasse smistandosi ordinatamente per le aule disseminate lungo  il corridoio.

Sul pavimento a poca distanza da lei, una foglia riuscita incredibilmente a sopravvivere al passo frettoloso di adulti e adolescenti, caracollò ai suoi piedi. D’istinto la raccolse per evitarle una fine peggiore, tenendola con delicatezza per il picciolo. C’era ancora qualche sfumatura dell’originario verde che l’aveva contraddistinta per almeno un paio di stagioni. Almeno sino a quando lo stesso vento che aveva giocherellato sbarazzino con la sua sagoma frastagliata nella bella stagione non aveva deciso di  aveva strapparla con rudezza inaspettata al ramo che l’aveva nutrita, sospingendola lontano da esso. Prima di trovare pace, miracolosamente intatta in tutta la sua perfezione, nello scrigno delle sue mani.

Si riscosse e si affrettò a raggiungere la classe, una terza, in cui per quel giorno aveva programmato quello che soltanto un paio di decenni prima i suoi insegnanti avrebbero definito tema e che in una sorta di balletto innovativo era diventato con nuova e pomposa terminologia verifica del lavoro svolto insieme ai suoi studenti. Ignorando la tecnologica linearità della LIM, si diresse verso la lavagna di ardesia che la fiancheggiava e, brandendo con dolcezza un pezzo di gesso bianco e tondeggiante, vergò sinuosamente le tre tracce che aveva scelto di proporre ai suoi alunni, mentre questi con insolita calma prendevano posto e si predisponevano a svolgerne una,  vocabolario e foglio protocollo alla mano, all’apparenza stregati dalla sua risolutezza o forse ancora sotto l’ effetto di un brusco risveglio mattiniero.

Girovagando tra i banchi si assicurò che tutto procedesse nel modo migliore, annotando mentalmente le assenze prima di trascriverle sul registro di classe. Poi assunse la sua postazione preferita: sguardo ai suoi ragazzi, in piedi e di spalle a una delle tre ampie finestre che davano luce all’aula, consentendo finalmente ai suoi pensieri di fluire altrove convogliandosi più o meno compostamente sulle ultime incombenze che avrebbero preceduto la sua partenza. Alla casa di cui avrebbe serrato con delicatezza le imposte, affidando la cura dei suoi gerani zonali a una vicina fidata, che ne avrebbe monitorato silenziosamente il letargo invernale e poi il tripudio che sempre seguiva alle prime avvisaglie primaverili trasformando il suo terrazzo in un’esplosione di rosso carminio e di verde intenso appena screziato di grigio. Ai due trolley aperti e riempiti a metà sul divano dello studiolo cercando di prevedere ciò che avrebbe potuto rivelarsi utile a una latitudine così dissimile da quella che sino ad allora era stata centro della sua esistenza. Alla cena di arrivederci che alcuni  amici avevano preteso di organizzare quella sera per lei. L’ avrebbero festeggiata intonando canzoni in rima e Paolo avrebbe sicuramente dato seguito alla sua vena artistica declamando poesie estemporanee che parlavano di addii e di ritorni certi. Perché lei sarebbe di sicuro tornata alla fine di quella che non era fuga da un presente incastonato in una routine rassicurante ma forse troppo scontata,  ma piuttosto voglia di fare e di reinventarsi con la consapevolezza di appartenere comunque a un luogo ben delineato fatto di terra, aria, acqua e fuoco. La città in cui era vissuta per più di un ventennio, che l’aveva adottata all’indomani di un matrimonio che non aveva avuto fortuna e in cui aveva  tuttavia deciso di continuare a vivere, sposandone il clima burbero determinato dal fiume e dal mare in eterna simbiosi e dall’Appennino lontano ma non abbastanza per non imporre la propria presenza massiccia a cose e persone.

Sbirciando con discrezione l’ orologio da polso constatò sorpresa che le due ore erano quasi al termine. Raccomandò alla classe di affrettarsi a consegnare e altrettanto febbrilmente cercò di fare mente locale a quanto nell’ora libera successiva avrebbe prospettato alla supplente che avrebbe preso le sue classi. Con scrupolosità aveva riempito facciate e facciate di annotazioni sui suoi ragazzi, parlando dei loro punti di forza e della debolezza di adolescenti in crescita, in cammino lungo sentieri spesso privi di indicazioni chiare. Figli di genitori  che sovente si dimostravano frettolosi passeggeri di treni in corsa lungo tragitti fatti di poche fermate, abituati a comunicare con estrema sommarietà piuttosto che provare a creare tassello dopo tassello  relazioni affettive efficaci che non rischiassero di sbriciolarsi come foglie d’ autunno sotto la camminata di passanti noncurante. Pensò ai tanti Daria, Michele, Blerina, Francesco armati di zainetti semivuoti, vestiti talvolta in modo troppo leggero per le intemperie che avrebbero affrontato. Alle loro vulnerabilità sempre pronte a riaffiorare in sorrisi che stentavano a comparire o che, viceversa, lo facevano in eccesso; ai tanti non detti per timore di parlare troppo, ai sentimenti tenuti troppo a freno per paura di soffrire, mentre ne raccoglieva i compiti che avrebbe di lì a poco corretto cercando di zigzagare, quel pomeriggio a casa, tra slang e formule espressive immediate e improvvisate, per riportare alla superficie quelle briciole di cuore dissimulate che pure c’erano e gridavano silenziosamente di essere riconosciute come tali. Pensò anche all’ “ A presto “ che avrebbe loro tra qualche giorno indirizzato: breve e intenso come solo le promesse concrete sanno essere. Un filo lanciato in avanti in attesa di essere con forza riannodato, augurandosi che le sue ragioni fossero da loro comprese e accettate e non vissute, viceversa, come frettoloso abbandono.

Con sveltezza prese le sue cose per andar via  avvolgendo tutti con lo sguardo in un abbraccio collettivo sfumato in un impercettibile attimo di incertezza, celato da un respiro profondo. Sulla cattedra la foglia autunnale col suo barlume di vitalità appena spolverizzata di polvere bianca rimase appoggiata sul registro dalla copertina blu in cui molto ancora delle giovani vite che racchiudeva sarebbe stato annotato e narrato. Con speranza e con  grinta rabbiosa infinite. Mai con rassegnazione.

L. Guida

photo by Medea

Springtime

Da poche ore siamo ufficialmente in primavera. E’ tempo di rinascita, di bilanci leggeri, di apertura verso un cielo oggi pieno di nuvole cinerine  e di sprazzi disinvolti di sole.

Una mia poesia per celebrare questo tempo denso di aspettative che promette bene per andar via senza voltarsi indietro

Ode alla Primavera

 

Sono grata ai petali di ciliegio,

in libera e impalpabile caduta,

di aver coperto le angustie

della mia giornata.

Le piccole ma cocenti

delusioni,

l’attimo sfuggito

alle mie dita

avide di vita;

i buoni propositi

mutati

in rassegnazione

piana, pacata.

Il sole che stenta

ad affacciarsi

attraverso questa coltre

grigioazzurra e dissimulatrice.

Le mie aspettative

che hanno bisogno di rugiada fresca

e di un nuovo mattino.

La mia speranza

racchiusa in un rosa

delicato e persistente,

oggi fiore in boccio

domani frutto goloso

e succulento.

Lucia Guida

photo by weheartit.com

ADOTTA UN EDITORE – INTERVISTA AD ALESSANDRA GAGGIOLI, DIRETTORE EDITORIALE e socio fondatore di FARNESI EDITORE .

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Le case editrici costituiscono un passaggio importante e fondamentale nel “viaggio dell’eroe” di ciascun aspirante scrittore. Specialmente quando un autore ha voglia di debuttare senza incappare nelle pastoie dell’editoria a pagamento.

Nel post di oggi ho il piacere di presentare la Farnesi Editore di Prato, rigorosamente NoEAP, per il tramite della sua direttrice editoriale Alessandra Gaggioli. L’intervista, che qui posto senza soluzione di continuità, è parte dell’iniziativa “Adotta un Editore” proposta dalle versatili e dinamiche bariste di Starbook Coffee, sito e pagina Facebook dedicati a iniziative, novità e notizie scrittorie a 360°.

Buona lettura

Farnesi Editore è una giovane casa editrice No EAP toscana nata nel gennaio del 2012 con sede a Prato. Nel suo progetto editoriale, esplicitato con essenzialità ma anche con un’estrema chiarezza d’intenti nel sito di riferimento, mi colpiscono due frasi, a mio avviso molto significative: il fatto che la Farnesi sia per la “valorizzazione del patrimonio letterario italiano inedito”e la sua determinazione di “portare al pubblico autori che sappiano fare letteratura.  Due mete estremamente ambiziose che mi incuriosiscono e che mi spingono ad approfondire la conoscenza di questa nuova realtà editoriale con un’intervista  a tutto tondo ad   Alessandra Gaggioli, architetto, direttrice editoriale  e supervisore della parte artistica per la Farnesi nonché sua socia fondatrice. Partiamo subito con le domande:

1)      Nella brevissima presentazione digitale di voi sul sito della Farnesi colpisce l’impegno a pubblicare opere di qualità. Oltre a questa puntualizzazione che premia un lettore attento ed esigente nel mare magnum dell’editoria italiana odierna, quali sono i punti cardine del vostro progetto? Quale in breve la Mission della Farnesi per chi sta iniziando a conoscervi adesso?

Farnesi nasce in un periodo difficile per l’editoria, poteva essere una tra tante case editrici minori, eppure la certezza che nei periodi di difficoltà si producono  le cose migliori ci ha spinto a tentare questa avventura. Siamo cinque socie, di cui solo due scrittrici, io (con lo pseudonimo Federica Gnomo Twins) e la signora Maria Lucetta Russotto, tutte animate dalla passione per la lettura e convinte che non bisogna andare a scovare all’estero bravi scrittori. In pratica l’idea base è voler dare spazio alle penne nazionali, agli esordienti, e farci coinvolgere dagli autori in progetti  che possono apparire “vintage” ma che in realtà sono altamente innovativi. Il tutto con una veste grafica curata che dia il giusto risalto all’opera.

Ad esempio abbiamo pubblicato come primo autore uno scrittore di favole, un papà, che sta avendo un grandissimo successo: ero convinta che la favola non fosse solo per bambini, ma potesse arrivare anche l’animo degli adulti. Il libro Melodia infatti tocca  molte corde e molti cuori di ogni età, e l’autore Armando Maschini sta ricavandosi un grande spazio nel panorama letterario “fiabesco”, come dice lui.

2)      Farnesi Editore è manifestamente per la pubblicazione non  a pagamento. In un mercato editoriale variegato come quello italiano in cui spesso “pagare per lavorare” e cioè sborsare cifre esorbitanti per essere pubblicati è un vezzo ancora piuttosto diffuso, quali sono le difficoltà incontrate da un piccolo editore che punta su poche opere selezionate da una prospettiva diametralmente opposta?

Il vero ostacolo per un piccolo editore passionale come noi, non è trovare bravi collaboratori, o lavorare e investire su un autore in cui crediamo, siamo imprenditrici e anticipiamo sempre tutte le spese.  La tragedia grossa è la  distribuzione capillare, viziata da richieste di percentuali altissime( 65%) da parte dei distributori e la riscossione lentissima del venduto(anche un anno e mezzo). Questo porta a dover ponderare ogni uscita con molta attenzione, ma noi non chiederemo mai contributi all’autore, noi siamo l’editore: il rischio è solo nostro.

3)      La vostra proposta editoriale si incentra sulle quattro collane “Verdemela”, “Peperosa”,  “Giallostorie”, “Biancocarta”. Puoi parlarci in breve di ciascuna di esse?

“Verdemela” è nata per prima, e si rivolge ad adulti e ragazzi che amino la freschezza del fantastico. “Biancocarta” raduna il varia, cioè ricette, attualità, esoterismo o esperimenti misti come il nostro secondo libro “Non voglio vedere verde” di Giada Briziarelli  e AA.VV, in cui si alternano ricette e fiabe che hanno per protagonisti gli ortaggi. “Peperosa” vuole essere una collana di commedie rosa, divertenti, frizzanti, ma non banali, vorremmo affrontare temi anche spinosi ma con semplicità e arrivare a un pubblico vasto.” Giallostorie”, come dice il nome, accoglie il giallo, le penne italiane, maschili ma sempre più spesso femminili,  intense, introspettive, addirittura venate di casalingo.Stiamo per uscire anche con la narrativa: un autore sardo molto bravo. Il nome della collana è in fieri. Insomma ci piace scovare belle storie, anche di vita vissuta, che abbiano la forza del quotidiano o la magia delle piccole cose.

4)      La distribuzione è un punto nodale per una piccola casa editrice dal momento che una propaganda mirata, seguita da una buona pubblicizzazione, danno spesso risultati sorprendenti. La Farnesi come si pone in quest’ottica? Preferisce vendere i propri prodotti librari attraverso il proprio sito, proporsi direttamente in libreria oppure affidarsi agli store on-line?

Come ho accennato, e dopo aver preso contatti anche con la distribuzione nazionale, ci stiamo orientando per una rete capillare di librerie fiduciarie. Piattaforme on-line e vendita diretta dal sito attrezzato con  e-commerce. Preferiamo spendere in pubblicità che pagare solo i distributori. Un libro solitario in ogni libreria non ottiene molti risultati … meglio qualche pagina di giornale.

5) Farnesi Editore sponsorizza da quest’anno il Premio Letterario città di Prato. Puoi parlarci di questa esperienza?

Il comune di Prato ci ha proposto  di legare il nostro concorso “Il tuo libro in libreria” alla città  e abbiamo accettato con entusiasmo. Questo ci  permetterà una bella manifestazione di premiazione per l’autore e l’opera prescelta. Non posso dirvi di più in quanto è la direzione marketing che si occupa di questo.

6) Pubblicazioni cartacee o digitali? Quali le prospettive e i margini di crescita e/o diversificazione della Farnesi in un’epoca in cui e-book, kindle, ipad e quant’altro sono oramai parte del vocabolario d’uso di buona parte del pubblico dei lettori?

Per ora noi operiamo in carta e abbiamo una collaborazione con la romana Dalim per la creazione e la diffusione su ogni piattaforma e in ogni formato di tutte le nostre opere, per cui l’autore è coperto anche dal punto di vista digitale in tutta serietà.

7) Una piccola casa editrice indipendente è spesso al centro delle aspettative di aspiranti scrittori esordienti; cosa consiglieresti a un autore in cerca di pubblicazione?

In generale dico di non mollare mai e cercare la casa editrice adatta alla propria opera, nel frattempo  tenere bene aperti gli occhi. Spesso un’opera non adatta  per un periodo lo sarà tra due o tre anni, oppure quello che non piace a x piace a k,  insomma bisogna essere anche  bravi venditori di se stessi. E una volta entrati in una squadra dare il meglio per collaborare ed emergere. Ricordarsi sempre che la stampa del libro è solo il primo passo, il lavoro vero viene dopo.

8) Parlando in generale, al momento ritieni che ci siano dei generi letterari che tirano di più nel mercato dell’editoria? Ammettendo e non concedendo che uno scrittore esordiente possieda in tal senso una certa versatilità e che sia in grado di spaziare dal fantasy al pulp, ad esempio, con una certa credibilità.

Ogni scrittore ha un suo genere congeniale, ma ciò non toglie che possa cimentarsi in altro, sempre che  la cosa nasca da un suo desiderio e non da una imposizione di mercato. Certo è che alcuni generi tirano più di altri, commercialmente parlando. I piccoli editori possono fare scelte commerciali differenziate o di nicchia, e questa nicchia può anche non essere quella che fa  grandi numeri ma avere estimatori costanti. Noi editori alle prime armi dobbiamo dosare vendibilità, visibilità, e qualità.

9) Fiere librarie e presentazioni letterarie contribuiscono spesso al lancio e/o alla pubblicizzazione della casa editrice e degli autori che essa propone. Quale la tua esperienza in merito?

Noi finora abbiamo poca esperienza di fiere, stiamo arricchendo la nostra offerta, ma devo dire che i nostri autori Armando Maschini, Anna Genni Miliotti e Giada Briziarelli hanno fatto e stanno facendo delle meravigliose presentazioni, piene di gente e incentrate molto sulla interazione col pubblico e i bambini.

10) A te l’onore e l’onere di scegliere le copertine delle opere pubblicate dalla tua casa editrice. Quanto conta in tal senso l’immagine visiva di un prodotto editoriale, con riferimento alla prima e quarta di copertina, nel catturare l’attenzione di un potenziale lettore?

Voglio specificare che naturalmente la mia scelta viene poi sottoposta a tutte le socie, e spesso concordata con l’autore, mi piace che quest’ultimo sia partecipe delle dinamiche di selezione, così come quando studiamo il titolo. La parte visiva dell’opera, in un mondo in cui l’immagine è la regola, la ritengo importantissima. L’opera deve emergere dalla massa e colpire l’immaginario del lettore. Poi però assicurare anche ottimi contenuti. Non amo ingannare con false aspettative. Né dare una veste grafica dissonante ai contenuti. Qui entra in gioco la mia formazione artistica.

11) Quali sono i progetti e i sogni nel cassetto della Farnesi Editore?

Già il fatto di avere festeggiato il primo compleanno e avere in campo opere che continuano a vendere bene è un risultato eccezionale, mi auguro di continuare così, e avere in casa editrice sempre autori di cuore, consapevoli del loro valore ma semplici,  felici di scrivere e pubblicare con noi. Non possiamo promettere la visibilità di un grosso editore, però ogni viaggio, come tutti sanno, comincia da un piccolo passo. E magari Farnesi farà tanta strada!

a cura di Lucia Guida

N.B. E’ possibile leggere la presente intervista in due tranches in originale nei seguenti link:

http://starbooks.it/2013/03/18/intervista-al-direttore-editoriale-di-farnesi-editore-2/

http://starbooks.it/2013/03/20/intervista-al-direttore-editoriale-di-farnesi-editore/

PRESENTAZIONI D’AUTORE – “Il cielo capovolto” di Stefano Carnicelli

“Il cielo capovolto” è il titolo del romanzo d’esordio di Stefano Carnicelli, ma anche il titolo di una famosa canzone di Roberto Vecchioni del 1995 e del quadro di Chloé Martin, nipotina dell’autore abruzzese e autrice della bellissima copertina di quest’opera da me presentata domenica 3 marzo 2013 presso l’Associazione Culturale OliS di Montesilvano (PE). Una triplicità che non è affatto ridondante ma che rimanda al colore che la lettura di questo romanzo, pubblicato nel 2011 per Prospettiva Editrice, ci propone: un blu intenso e coinvolgente, caratteristica predominante, nelle sue mille sfumature, del mare e del cielo.

Francesco è un giovane studente universitario diviso tra gli studi di ingegneria, la passione calcistica praticata attivamente e l’affetto profondo nutrito per suo padre, suo unico punto di riferimento affettivo. A un certo punto la sua tranquilla esistenza è sconvolta dalla morte improvvisa di Mario, avvenuta in circostanze estremamente tragiche e in parte misteriose. Facendo buon uso degli insegnamenti di quest’ultimo, Francesco prova a risollevarsi e a cercare un nuovo baricentro. Lo trova ne “Il cielo capovolto”, un villaggio-vacanze in cui decide di andare a lavorare durante la sua prima estate vissuta in completa solitudine. L’allontanamento volontario dal paese natio innescherà in lui un processo di crescita interiore, un vero e proprio “viaggio dell’eroe”, che lo aiuterà a raggiungere consapevolezza maggiore attraverso nuove prove esistenziali condite dal gusto dolceamaro dell’amore e della sofferenza.

Per questo viottolo dal terreno spesso accidentato,  la sensazione, netta, che Stefano proceda di pari passo con Francesco, la sua creatura “di parola e di azione” non abbandona mai il lettore. E può capitare di imbattersi in strofe di  canzoni di Fossati e Vecchioni, in considerazioni filosofico-esistenziali, citazioni letterarie di tutto rispetto affiancate da vecchi adagi popolari pensando a Francesco come ideale portavoce di Stefano, impegnati, entrambi, in un’autentica sinergia narrativa che è anche esistenziale.

Molte le tematiche degne di rilievo trattate nel libro. Ne cito solo un paio. Il primo filo scrittorio annodato da Stefano è quello dell’attesa: l’attesa di poter tornare, per Francesco, alla normalità ma anche l’attesa di poter arrivare a capo della morte di suo padre; aspettando, infine, di poter risentire  e rivedere Stella, la donna della sua vita, unico personaggio femminile descritto a tutto tondo con grande meticolosità. Seguono il sogno  e l’immaginario  come escamotage personale di Francesco per riconquistare, attraverso la dimensione onirica e immaginifica, le cose perdute: l’affetto di suo padre e poi quello di Stella, aprendo a occhi chiusi ogni sera “le porte dei sogni” per ricollegarsi mentalmente a un piano atemporale collocato nella propria interiorità, a dispetto di un mondo reale non sempre all’altezza delle sue aspettative.

Per stessa definizione di Stefano Carnicelli la trama de “Il cielo capovolto” è assai semplice, nell’accezione più positiva del termine: piana ed essenziale, come solo le cose del vivere comune sanno essere; mai, tuttavia, scevra di elementi di positività e speranza, attitudini alla base del messaggio che l’autore ci vuol trasmettere attraverso le pagine di questo libro.

Illuminante in tal senso la motivazione del secondo posto conquistato da quest’opera nel Premio Letterario Nabokov 2012, per la sezione narrativa:

“La vita riserva ad ognuno di noi gioie e dolori. Apre e chiude porte che spesso ci conducono verso scelte dolorose e momenti difficili. Stefano Carnicelli con il coraggio dei grandi scrittori decide di narrare la difficoltà del vivere per farci scoprire la gioia della vita. “

Una consacrazione letteraria che ben riflette l’affetto con cui i lettori hanno, a oggi, accolto il battesimo narrativo di Stefano.

L’autore

Stefano Carnicelli è nato a Tornimparte (AQ) nel 1966. Attualmente risiede  e lavora a L’Aquila per un istituto di credito. Ama leggere opere di narrativa contemporanea e scrivere quando la sua professione e gli impegni di famiglia glielo consentono. Appassionato di musica e di calcio ha collaborato in passato con la testata giornalistica abruzzese del “Centro” occupandosi nel presente della rubrica letteraria di abexpress, digital magazine regionale. Attualmente è impegnato nell’editing del suo secondo romanzo, di prossima pubblicazione  sempre per la Prospettiva Editrice.

Le citazioni

 

A proposito di Stella:

“Sei stata un’onda partita da molto lontano che si avvicinava sempre più a riva, verso di me. Eri lì in perenne e costante movimento; un’onda che cresceva attimo dopo attimo, giorno dopo giorno. Ti sei autoalimentata nel tuo mare per abbatterti con dolcezza su di me. Mi sono sentito invaso da te e da tutte le energie che hai saputo trasmettermi (…) Era come se vedessi le stesse cose con occhi nuovi e ben diversi dai precedenti; sono sparite le ombre tetre e le tristi incertezze che avevo dentro.”

A proposito della morte di Mario e delle implicazioni del destino nelle vicende umane:

“La vita era fatta di tante e piccole verità; c’erano i padri e i figli perché la vita si prende e poi, nuovamente si dona ai figli che verranno. E c’erano anche i cani che guidano le pecore perché alcune figure sono e saranno, nella vita, coloro che guideranno quella massa di gente che si lascerà, nel bene e nel male, condurre. Ma la disciplina della terra era anche quell’insieme di nomi fatalmente dimenticati dalla parte negativa e ostile, quella sinistra, appunto, del destino. Ecco chi era il Suonatore; era la sorte, il fato, e aveva dimenticato Mario sotto la sua mano sinistra.”

A proposito del rapporto uomo-donna e come commento all’ultimo canto di Saffo:

“E’ una caratteristica dell’universo maschile quella di vivere sempre in un clima incerto e burrascoso a differenza dell’universo femminile che è più fermo, deciso, definito, eterno e vero come il cielo. Da una parte il mondo agitato e irrisolto dell’uomo che rappresenta il mare, dall’altra il mondo fermo e reale dell’universo femminile che rappresenta il cielo.”

Con riferimento, infine, alla tenacia con cui bisogna affrontare le alterne vicende della vita:

“ In ogni situazione che vivi, in sostanza, si può essere o martello o incudine. Se hai la fortuna di essere martello, potrai battere; se, invece, sei incudine, puoi solo stare e subire il destino! Francesco amava questo proverbio ed era stato sempre ispirato da queste parole (…) In qualche modo cercava sempre di essere un po’ martello, magari un martello anche piccolo, con battuta leggera e quasi impercettibile, ma pur sempre un martello! L’essere incudine significava subire passivamente. A volte era inevitabile, come era stato nella vicenda di suo padre, ma già la semplice reazione all’imponderabile destino appariva, ai suoi occhi, come un riappropriarsi pienamente della propria vita (…).”

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“Presentazione de “Il cielo capovolto” a OliS, Associazione Culturale di Montesilvano (PE)

3 marzo 2013

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I link del blog di Stefano Carnicelli e della sua pagina facebook dedicata al suo romanzo:

http://www.stefanocarnicelli.it/

https://www.facebook.com/#!/groups/169769379761870/?fref=ts

“Il cielo capovolto” edito da prospettiva Editrice è reperibile qui e nei principali store on-line