Recensioni d’antan. “Questo indomito cuore” di Pearl S. Buck

Secondo anno consecutivo come articolista freelance per Mentinfuga, rivista web  indipendente con la prima recensione di un romanzo della scrittrice americana Pearl S. Buck.
Buona lettura a tutti
A presto


RECENSIONI D’ANTAN. “QUESTO INDOMITO CUORE” DI PEARL S. BUCK

Che cosa accade quando in una vecchia libreria domestica trovi libri di grande narrativa straniera nelle loro prime edizioni italiane? Incuriosita provi a leggerli. E scopri che accanto alla traduzione che rispecchia fedelmente gli standard linguistici dell’epoca c’è la freschezza e l’attualità di capolavori senza tempo. Ecco Questo indomito cuore di Pearl S. Buck.
Susanna Gaylord è una talentuosa e giovane ragazza americana. Vive in una piccola città americana di provincia negli anni trenta in una famiglia composta da padre, professore universitario e musicista mancato, madre e Maria, personaggio emblematico, che mal sopporta il fatto di avere accanto a sé una sorella così geniale. Susanna si percepisce da sempre come una outsider nell’ambiente di provenienza pur mantenendo un basso profilo per rendersi bene accetta al suo entourage; il suo sogno è quello di realizzarsi come Donna formando una famiglia con Marco, suo ex compagno di scuola che la adora da sempre, continuando in parallelo a coltivare il dono artistico che possiede da bambina conducendo un’esistenza tranquilla in un contesto urbano in cui poco posto è lasciato ai desideri e alle aspirazioni femminili. Sceglie di diventare madre perché considera la maternità un ulteriore modo creativo per infondere la vita che scorre attraverso le opere in creta che realizza.
Queste velleità trovano grande risonanza in suo marito che pur rendendosi conto della disparità culturale che li separa è ben intenzionato a supportare per quanto possibile sua moglie sino alla fine dei suoi giorni, arrivando a sacrificare la sua vita così come Susanna, quanto meno all’inizio della loro biografia coniugale ha fatto, negandosi opportunità di crescita all’estero.  La perdita del coniuge dà a Susanna, che non vuol restare intrappolata in un’esistenza piatta e incolore, la forza di intraprendere quel viaggio di rifinitura artistica e culturale a Parigi tanto caldeggiato da uno dei suoi maestri, l’affermato scultore Barnes. Susanna parte accompagnata da Giovanna, tata tuttofare dei suoi figli Giovanni e Marzia, con poche sostanze e molto entusiasmo. A Parigi oltre ad affinare la sua arte ha la possibilità di riscoprire la sua femminilità grazie a Blake Kinnaird, americano, artista a tempo perso appartenente a una facoltosa famiglia che se ne innamora e in poco tempo la convince a sposarlo. Rientrata negli Stati Uniti Susanna mal si adegua alla routine tipica di un’agiata moglie newyorkese e a un sentimento in cui riconosce una certa manipolazione da parte dell’uomo che ha accanto. Pian piano riprende la sua attività di scultrice incoraggiata da Michele, giovane pittore estremamente capace anche se non particolarmente convinto della sua abilità, e dal suo antico mentore Barnes ottenendo risultati notevoli sino a diventare un’artista affermata a dispetto di una società che mal sopporta donne dai meriti particolari capaci di vivere di luce propria invece che di luce riflessa. Il personaggio di Susanna è dalla Buck ben tornito; scolpito con la stessa abilità che la sua eroina mette nella forza con cui si cimenta materialmente e simbolicamente nella creazione di statue dalla grandezza imponente ricavate da blocchi di marmo pregiato, mentre il suo secondo marito resta prigioniero altrettanto metaforicamente in un’arte sterile che vorrebbe essere innovativa ma che non vi riesce restando mero esercizio virtuosistico di abilità fine a sé stessa. Susanna, al contrario, fa tesoro di quanto la vita le ha consentito di apprendere sublimandolo in opere in cui con sapienza coniuga tecnica e capacità di interpretare l’anima di chi ritrae creando uno stile suo, personale e particolare, che le consente di ottenere il plauso di critici importanti come Hart e Barnes. Il sacrificio della sua vita privata (divorzierà da Blake riprendendosi quella parte di sé stessa di cui il marito l’aveva privata tentando di adeguarla alla sua idea preconcetta di compagna di vita)  le consentirà di vivere in equilibrio con la propria interiorità, portando con sé soltanto gli affetti più cari: i suoi due figli, la fedele governante, sua madre, Barnes. Quelle persone che in maniera disinteressata le hanno consentito di realizzarsi come Donna ma soprattutto come Persona in tempi in cui la società e le consuetudini avrebbero voluto per lei strade diverse. Con un ritorno felice al punto di inizio di questa storia: la fattoria in cui ha intrapreso i primi passi d’artista ai tempi del primo matrimonio, in un ambiente lontano dalla città in cui è nata abbastanza per continuare a esercitare talento e abilità in una riconquistata prospettiva esistenziale essenziale e feconda.
Lucia Guida

*Letto nell’edizione del 1940 di Arnaldo Mondadori per la collana Medusa

Note biografiche su Pearl S. Buck (ndr)

Pearl S. Buck nasce nel 1892 a Hillsboro, West Virginia. Figlia di migranti di origine europea si trasferisce da bambina con i suoi genitori missionari della chiesa presbiteriana in Cina dove assorbe molto della civiltà del popolo con cui vive a stretto contatto. Nonostante i frequenti rientri in America conserva un legame forte con la Cina ritornandovi più volte dopo aver conseguito negli Stati Uniti la laurea in letteratura inglese che le varrà la docenza in quest’ambito all’Università di Nanchino prima di riparare successivamente in Giappone. Vincitrice dell’ American Academy of Arts and Letters , del premio Pulitzer nel 1932 per il romanzo The Good Earth e successivamente nel 1938 del premio Nobel per la letteratura. Sensibile a tematiche sociali con riferimento soprattutto all’infanzia deprivata dei bambini di tutto il mondo fonda la “Pearl S. Buck International”. Lascia un’eredità letteraria consistente pari a oltre ottanta opere di varia tipologia di cui alcune scritte sotto pseudonimo. Muore nel Vermont nel 1973 di cancro chiedendo che il suo nome venga riportato sulla lapide in caratteri cinesi come omaggio alla sua patria di elezione.

NB: L’articolo in originale è qui 

Reading Tips: “Tutta la vita che resta” di Roberta Recchia e “La signora Craddock” di William Somerset Maugham

Oltrepassata la boa temporale del ferragosto, momento tradizionalmente statico della quotidianità italiana, due nuove proposte di lettura estiva: “Tutta la vita che resta” di R. Recchia edito da Rizzoli per la collana La Scala e “La signora Craddock” di W. S. Maugham letto nell’edizione proposta dal Club degli Editori  del 1969.
Buona lettura e  presto

Lucia

Tutta la vita che resta di Roberta Recchia

La narrazione della biografia familiare dei Balestrieri e poi degli Ansaldo fa da cornice alla ben articolata storia di Marisa, Mimì per i suoi cari, Stelvio, Betta ed Ettore jr. dipanandosi nell’arco di un trentennio prevalentemente tra Roma e  località limitrofe. Sono storie marcate da ordinario dolore e sofferenza e qualche lieto fine che si impennano quando nell’estate del 1980 Betta, secondogenita di Marisa e Stelvio, viene assassinata in riva al mare a Torre Domizia senza un  apparente perché. Di queste tristi vicissitudini pagherà il prezzo più alto la giovanissima Miriam che si è autoinflitta la croce di portare dentro di sé, con inevitabili e gravi ripercussioni a livello psicofisico, un segreto indicibile in qualità di testimone silenziosa e segreta della morte della sua esuberante e giovane cugina. Una realtà che è da un lato inconfessabile e dall’altro il prodotto di antichi tabu legati a disvalori come quello di una rispettabilità apparente che non dev’essere mai infranta, qualsiasi costo abbia, di cui la matriarca della vicenda, Letizia,  nonna di Betta e Miriam e madre di Marisa, si arroga il diritto di pretendere sacrificando il benessere della sua discendente più giovane. Saranno Leo, ragazzo di borgata, e sua sorella Corallina a ripristinare l’ordine offrendo a Miriam una profferta concreta e amorevole di rinascita per una vita futura piena di amore e considerazione maggiori. Trama e intreccio sono dosati con sapienza dall’autrice e conducono il lettore con mano salda sino alla fine del romanzo, motivandolo a portarne con agio a termine  la lettura.

Tutta la vita che resta,  Roberta Recchia, ISBN 9788817183499

La signora Craddock di William Somerset Maugham

In un’Inghilterra dei primi anni del secolo scorso una giovane ereditiera, Berta Ley, cerca di fare buon viso a cattivo gioco alla noia della sua routine imbastendo per sé stessa un vero e proprio romance amoroso nella tranquillità eccessiva e soporifera della campagna del Kent. Da poco proprietaria per lascito testamentario di suo padre di Court Leys si convince che l’uomo per lei ideale possa essere Edoardo Craddock, suo antico compagno di giochi e figlio di un ex dipendente della tenuta. In questa parvenza di realtà costituita più dai desiderata e dalle proiezioni della ragazza che da una concreta e plausibile evidenza dei fatti nascono un amore e poi un matrimonio destinati ben presto, dopo i primi anni di collaudo del ménage, a rivelarsi come una congerie di idee, gusti, azioni che più che legare due persone definiranno con nettezza i contorni di entrambi su piani decisamente paralleli destinati a non incontrarsi mai. All’iniziale entusiasmo di Betta subentrano una forte delusione e la certezza di aver scelto come compagno della sua vita un uomo di pochissimo spessore, culturalmente assai distante dalla sua sensibilità e tuttavia ben deciso di servirsi a suo piacimento, (sia pure con l’attenuante di aver saputo moltiplicare la fortuna economica della sua consorte che lo ha reso unico amministratore dei suoi beni) di quell’occasione di benessere materiale regalatagli da un’unione assai conveniente. La sottile ironia di Somerset Maugham è il fil rouge che percorre l’intero romanzo attraverso la tecnica del narratore onnisciente propendendo forse con maggior empatia verso  la protagonista più che verso il consorte di quest’ultima descritto come amante della propria opinione non per forza di carattere quanto piuttosto per una sorta di ottusità mentale che lo porta a glissare su tutto ciò che non aderisca perfettamente al suo sentire. Una storia sull’incomunicabilità umana e su quanto sia fallace e azzardato innamorarsi dell’amore rischiando, quando ciò accade, di essere condotti verso scelte di vita profondamente infelici.

La signora Craddock,  W. S. Maugham, edizione del 1969 a cura del Club degli Editori

Reading Tips: “La bella virtù” di Marisa Salabelle e “Via dalla pazza folla” di Thomas Hardy

La bella virtù di Marisa Salabelle

Uno spaccato familiare fornito attraverso punti di vista e di riferimento diversi è al centro del romanzo di Marisa Salabelle “La bella virtù”. In un arco temporale di svariati decenni a cavallo tra il secondo dopoguerra e il primo ventennio del terzo millennio i componenti di una medesima famiglia articolano i propri ricordi, vissuti o ricevuti tramite narrazione da terzi, animati da sentimenti contrastanti: di profonda nostalgia per Felice, anziano professore universitario, di insofferenza contenuta per Maria Ausilia moglie devota di questi; di filiale accondiscendenza verso entrambi per Carla, loro figlia, e di scoperta per Kevin, figlio di quest’ultima e giovane laureato alla ricerca di un filo conduttore comune che possa legare in maniera coerente i rami dell’albero genealogico di famiglia nell’attimo in cui decide di farlo diventare oggetto della sua tesi magistrale. Il racconto si snoda in punta di penna spaziando tra i conflitti di Felice, sensibile al richiamo della vita ma sempre pronto a rendere il suo senso di gratitudine esistenziale per quanto ricevuto in un’ottica marcatamente religiosa; le rivendicazioni di Maria Ausilia, colonna portante di questo nucleo familiare e femminista ante litteram pentita, divisa, come per certi versi accade anche a sua figlia Carla,  tra la voglia di spiccare il volo in autonomia e il senso del dovere che la tiene legata a colui che ha scelto come compagno. E infine Kevin, personaggio dissacrante, capace di mantenersi distaccato per analizzare con impegno e indubbia obiettività le vicissitudini dei suoi avi, qualcuno più famoso di qualcun altro, senza concedersi il lusso di parteggiare per nessuno. Il romanzo, seguito de “Gli ingranaggi dei ricordi” procede in maniera fluida conducendo agevolmente il lettore verso l’ultima pagina sino a fargli prefigurare un ulteriore attesissimo prosieguo narrativo.


Marisa Salabelle, La bella virtù, ISBN 9788868515386

Via dalla pazza folla di Thomas Hardy

Due giovani ambiziosi cercano di farsi strada nel mitico Wessex hardyano (attuale Dorset); il primo, Gabriel Oak, è già un abile fattore quando incontra Batsheba Everdere, orfana povera e di belle speranze. I due si piacciono ma Batsheba fatica a impegnarsi e ad accettare le profferte serie dell’uomo che a lei vuol votarsi per il resto dei suoi giorni. Il mondo vittoriamo vorrebbe dipingere la ragazza come una volubile coquette che ama irretire gli uomini che le si avvicinano senza mai concedersi, ma Batsheba è molto di più: è pervasa da una gran voglia di affermarsi come donna dal punto di vista professionale a mo’ di suffragetta in anticipo sul flusso della storia. Il destino sembra quasi darle una mano nell’attimo in cui riceve in eredità da uno zio che ha intravisto in lei capacità e intelligenza una fattoria. Diversa sorte, invece, per Gabriel che per circostanze avverse perde il suo gregge ed è costretto a tornare alla sua antica attività di pastore oramai privo dei suoi possedimenti. Batsheba va avanti per la sua strada che però si incrocia più di una volta con quella del suo antico innamorato che le resta accanto anche quando lei sceglie di legarsi al sergente Troy, un uomo che non la ama perché vive nel ricordo di un antico affetto per un’altra donna, la dolce Fanny, da lui ingiustamente trascurato e poi sublimato dal senso di rimorso che lo attanaglia. In questo circolo amoroso sui generis trova posto anche l’innamoramento del fittavolo Boldwood  per la Everdene che lo ha reso umano e vulnerabile inviandogli per gioco un valentine. A lei il signorotto di campagna si legherà ossessivamente per la vita sino a compromettersi irrimediabilmente. Nell’eterno gioco delle parti trova giusta collocazione anche il folto microcosmo umano rurale rappresentato dai dipendenti della signora Everdene/Troy che per la loro padrona, tuttavia, non hanno mai parole di biasimo riconoscendone  la grande capacità imprenditoriale e l’impegno profuso verso di loro sin dall’inizio perché la tenuta ottenuta in gestione potesse fruttare al meglio conservando la stabilità lavorativa di ciascuno di essi. Un romanzo evergreen di grande impatto capace di ispirare ben due versioni filmiche e un serial televisivo, in cui Thomas Hardy, sapiente architetto nella narrazione e nelle suggestive descrizioni di ambientazioni e territori da lui lungamente amati, si riconferma grande e abile osservatore dell’animo umano scandagliato sino alle pieghe più profonde e insondabili.

Thomas Hardy, Via dalla pazza folla, ISBN 9788811580072

Recensioni d’Autore: “L’ora di greco” di Han Kang

Quando ho voglia di recensire un autore lascio passare un po’ di tempo se il libro che ho scelto è uscito da poco; oppure, come per “L’ora di greco” di Han Kang, scrittrice coreana e vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura 2024, aspetto che il clamore mediatico attorno alle opere e alla persona designata si plachi un po’. È quanto ho deciso di fare in questo articolo a chiusura di un anno scrittorio per me importante e impegnativo incentrando, a differenza degli ultimi miei reading tips, su un solo autore e una sola opera e dando priorità di pubblicazione alla rivista Mentinfuga con cui come già sapete collaboro da un paio di mesi. Il mio augurio sincero per voi è quello di continuare a leggere parecchio: non c’è niente di meglio di un buon libro per pensare, sognare e crescere. E tutti noi di buon cibo per la mente abbiamo un assoluto bisogno. Mai come adesso.
Buon Natale a tutti

Lucia

L’ora di greco di Han Kang*

Un uomo e una donna si incrociano in un momento di tranquilla ordinarietà della loro vita. Lui è un cólto professore universitario che ha deciso controcorrente di tornare in Corea dalla Germania, paese in cui da bambino si era trasferito con i genitori e la sorella, ora talentuosa cantante lirica, alla ricerca di prospettive migliori. Lei è una madre delusa nelle sue aspirazioni genitoriali allontanata dal proprio figlio dall’ex coniuge. L’uomo si procaccia da vivere lavorando part time in un ateneo cittadino di Seoul come professore di greco dedicandosi a pochi studenti lì per scelta, cercando di tenere nascosta la grave problematica visiva da cui è affetto e che gli è derivata per familiarità dal ramo paterno. La donna ha deciso di frequentare quelle lezioni per colorare giornate troppo uniformi e insapori, condotte in una periferia che non è semplice luogo fisico, all’indomani del distacco forzato dal suo bambino; di tanto in tanto scrive brevi poesie in greco antico attingendo dal suo vissuto e cerca di ricalibrare la propria vita adattandola all’afasia che l’ha colpita e che è stata uno dei motivi a cui il suo ex compagno si è appigliato per privarla del figlio.

I due trovano conforto in quel breve (e per certi versi privo di precise e circostanziate responsabilità) intermezzo scolastico settimanale, sia pure per ragioni diverse: per il docente la lezione di greco rappresenta l’ultimo baluardo per tentare di conservare un briciolo di socialità ridotta all’osso a causa della progressiva perdita della vista che lo affligge. La donna, al contrario, si sente a proprio agio nel far parte del numero esiguo dei suoi compagni di studi cercando per quanto in suo potere di passare inosservata e fuggendo, in senso metaforico e letterale, qualsiasi occasione di contatto e di scambio dialogico.
A voler ben vedere entrambi rappresentano insieme un’unica figura dotata di vista e di parola: quella di un medesimo individuo che è incapace nello stesso istante di reciprocità e di condivisione con chi lo circonda perché è carente della necessaria integrazione dei due veicoli di comunicazione essenziali, indispensabili, che rendono ogni esperienza vitale umana unica e irripetibile conferendole al tempo stesso sostanza e astrazione.
Paradossalmente un elemento scatenante, imprevedibile ma estremamente umano, farà in modo di concretizzare la loro conoscenza in un incontro fatto anche di fisicità, dando ai due la possibilità di provare, ciascuno in base a ciò che all’altro può offrire, a condividere un piccolo segmento esistenziale. Con la consapevolezza dell’estrema finitudine dell’essere umano: è cosa certa che si si nasca e si muoia in solitudine, ma è altrettanto importante considerare come dai propri demoni interiori non ci si salvi mai da soli. Han Kang sembra quasi voglia suggerire, molto ben al di là di prevedibili ricette pronte all’uso, quanto degli altri abbiamo bisogno per chiudere il cerchio iniziato con la nostra venuta al mondo; mettendo a punto, grazie alla loro presenza, quelle riflessioni che le nostre scelte di vita ci hanno ispirato e che noi scientemente o meno abbiamo deciso di attuare. In un’ottica paritaria e di consapevole complementarità, nel rispetto pieno di ciò che ciascuno di noi ha da porgere al mondo senza avere a pretendere nulla in cambio.

Lucia Guida

*L’ora di Greco, Han Kang, trad. di Lia Lovenitti, Adelphi, 2023

 

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L’articolo in originale è qui 

Reading Tips: “Passaggio in ombra” di Mariateresa Di Lascia e “L’ultimo atto” di Giancarlo Giuliani

Con la ripresa lavorativa a pieno ritmo ho un po’ meno tempo per leggere ma è comunque piacevole concludere la giornata con qualche pagina di un buon libro. Per voi, oggi, due romanzi. Il primo è di Mariateresa Di Lascia, Premio Strega 1995, e il secondo di Giancarlo Giuliani, scrittore e poeta pescarese.

A presto

Lucia

Passaggio in ombra di Mariateresa di Lascia

Una pregevole saga tutta al femminile in odore di matriarcato come tante impazzano oggi in narrativa, scritta in tempi non sospetti e calata nella realtà dura e difficile di un paese del Sud imperniato su prospettive e esistenziali arcaiche in cui la protagonista Chiara D’Auria, figlia partorita fuori dal matrimonio da sua madre  Anita Riccetti, ostetrica condotta arrivata dall’Italia centrale, racconta da bambina e poi in seguito da ragazza e donna fatta le vicende familiari di cui è in gran parte protagonista. Di quel padre verso il quale nutre un sentimento di odio e amore, quasi una versione infantile della disposizione d’animo materna, Chiara è padrona assoluta e si diverte a fare il bello e il cattivo tempo sfruttando a suo piacimento la sudditanza che scaturisce dai sensi di colpa di Francesco per aver saputo tardissimo di questa paternità provvedendo a riconoscerla solo in un secondo momento. Chiara non riuscirà a laurearsi nonostante il generoso aiuto economico di donna Peppina Curatore sua prozia che penserà a lei invece di dedicarsi a una prole che non è mai arrivata dandole la possibilità di frequentare l’università e poi donandole una casa e il sostentamento economico necessario per evitarle un matrimonio di convenienza com’era invece per lei accaduto.  Con uno stile narrativo magistralmente condotto la scrittrice contribuisce a rinforzare nel lettore il senso di empatica condivisione quando questi si sofferma a soppesare l’indeterminatezza dell’uno o dell’altro personaggio, indotto a muoversi dalle circostanze della vita e non da una reale volontà di cambiamento.

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 Mariateresa di Lascia, Passaggio in ombra, ISBN 9788807814204

L’ultimo atto di Giancarlo Giuliani  è al contrario un romanzo agito attraverso una prospettiva prevalentemente maschile. Narra la vita di Carlo, giovane idealista che vorrebbe trasformare con le buone o con le cattive un mondo in cui poco si riconosce. Di famiglia molto benestante il ragazzo accantona il sogno di diventare insegnante piegandosi alle logiche rigide della lotta armata all’indomani dello scioglimento di Lotta Continua di cui faceva parte abbracciando i metodi duri di gruppi extraparlamentari estremisti. Le vicende narrate si collocano per buona parte nel periodo degli anni di piombo comunicando a tinte forti quel senso di precarietà che coglie il suo protagonista nell’attimo in cui si rende conto che a fronte di ideali notevoli di uguaglianza sociale non ci sia sacrificio umano che tenga, soprattutto quando trovi dall’altra parte della barricata una delle persone che ha tanto contato per te come amico carissimo o gente impegnata in battaglie di sopravvivenza quotidiana. Neanche in quest’opera l’amore acquisirà una reale e concreta valenza salvifica: la storia di Anna e Carlo, destinata a perire innanzi tempo perché privata sin dall’inizio di una prospettiva concreta, è quasi emblema di quei sentimenti di riscatto sociale di cui Carlo vorrebbe farsi portavoce per dare forse anche un senso alla sua vita. In una circolarità che lo riporterà alla fine della vicenda a casa dei suoi per respirare ancora quell’aria di famiglia e di appartenenza da cui ha cercato di fuggire invano. Un libro scritto da un autore che ha deciso di raccontare  in maniera scabra e sincera senza fare sconti a nessuno un segmento storico non facile del nostro Paese.

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Giancarlo Giuliani, L’ultimo atto, ISBN 9791259881601

Reading Tips: “Come un fiore di ciliegio nel vento” di Etsu Inagaki Sugimoto e “La moglie di Dante” di Martina Marazza

Ultima bi-recensione estiva di autrice-lettrice con altri due titoli letti da me per voi.
A presto
Lucia

Come un fiore di ciliegio nel vento di Etsu Inagaki Sugimoto

Etsu Inagaki Sugimoto, protagonista del libro che è la fedele trasposizione scrittoria della sua vita, è la figlia di un samurai giapponese da quest’ultimo sin da piccola educata alla rigida disciplina che l’appartenenza a tale categoria comporta, cresciuta nella fede buddista da un precettore bonzo che la avvia alle lettere con rigore nell’ottica di farla diventare in futuro una sacerdotessa. Vive con la sua famiglia  a Nagaoka, nel nord del paese, in una comunità rimasta fedele agli usi e ai costumi nipponici più tradizionali. Da questo luogo ideale Etsu si separerà all’indomani della morte di suo padre per sposare Matsuo a lei destinato dalla famiglia rappresentata da suo fratello. Il suo futuro marito, di origine giapponese ma cittadino americano a tutti gli effetti, ha piacere che lei si trasferirsca da lui negli States. Etsu inizierà pia piano ad avvicinarsi a Tokyo, studiando in una missione cristiana la lingua inglese e apprendendo i primi rudimenti di un sistema di vita sconosciuto rispetto a quello a cui è stata esposta sin dalla nascita. Grazie all’amorevolezza di Matsuo e della madre americana riuscirà a trascorrere nella sua nuova patria in serenità anni preziosi per la sua formazione con l’apertura mentale di chi intraprende il viaggio senza remore alcune. Capace di accogliere in sé senza discriminazioni di sorta due culture solo all’apparenza distinte e antitetiche e di educare le sue figlie Hanano e Chyio con grande sapienza e lungimiranza tanto da farle diventare  vere cittadine del mondo, al di là di un titolo italiano leggermente fuorviante (originariamente era “The Daughter of the Samurai” appena edito nel 1929) che rende solo in parte il senso di un’opera di grande portata, costruita in perfetto equilibrio su scuole di pensiero, azione e stili di vita di concezione diversa per rappresentare un’era storica altrettanto ricca di trasformazioni per il Paese del Sol Levante.

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Etsu Inagaki Sugimoto, Come un fiore di ciliegio nel vento, ISBN 9788809971684

La moglie di Dante di Martina Marazza

Un vecchio adagio parla in maniera ricorrente di quanto un uomo che ce l’ha fatta debba alla donna che gli ha guardato le spalle. Sarebbe tuttavia profondamente ingiusto parlare in questi termini di Gemma Donati, nobile fiorentina data in sposa a Dante Alighieri giovanissima. “Testa di Ruggine” sa leggere, scrivere e far di conto, ha opinioni personali che trova modi di comunicare alle persone di famiglia con grande schiettezza e attraverso la narrazione che la Marazza ci restituisce è ben decisa a vivere di luce propria e non semplicemente nel cono d’ombra di un marito poeta, assai colto e attivamente partecipe alla vita politica della sua città natale. Ed è ciò che fa nel momento in cui Dante, che ha ricoperto il ruolo di Priore, vittima di ingiuste accuse di natura politica, deve riparare altrove per poter sfuggire ai suoi detrattori. Cresce in modo impeccabile quattro figli, ne perde una neonata. Continua a pensare a colui che ha scelto come suo compagno in termini di grande affetto nonostante le tante prove in solitaria affrontate con grinta e tenacia e il lungo periodo di esilio a cui questi è stato condannato e che gli impedirà in vita di rientrare nella sua amata città. Le vicende narrate in prima persona dalla protagonista si delineano in  34 capitoli racchiusi in tre ampie sezioni coprendo un arco temporale che va dal 1285 al 1340, La narrazione tiene avvinto il lettore in maniera costante e lo porta con naturalezza alla fine di questa storia corposa che conta più di cinquecento pagine costellate da pagine di grande suggestione descrittiva ma anche notizie attinte dalla scrittrice inerenti la genesi delle principali opere del Sommo Poeta, Divina Commedia inclusa.

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Martina Marazza, La moglie di Dante ISBN 9788828206422

“Oltre la porta socchiusa”, Arkadia, di Lucia Guida – recensione di Libroguerriero

Per “Oltre” nuova recensione di Libroguerriero a cura di Paola Rambaldi.
Buona lettura e a presto
Lucia 

 

Reading Tips: “La bella estate” di Cesare Pavese e “Come l’arancio amaro” di Milena Palminteri

La mia piacevolissima maratona estiva di autrice-lettrice prosegue con altri due titoli letti da me per voi.
A presto
Lucia

La bella estate di Cesare Pavese

Ginia è una ragazza avida di vita. Lavora in una sartoria e vive con suo fratello Severino che le vuol bene e le dà ampia libertà ma sogna una vita più densa di emozioni. Fa amicizia con una modella più grande di lei, Amelia,  e per il suo tramite con due pittori,  Rodrigues e Guido. Di quest’ultimo s’innamora diventandone l’amante e varcando definitivamente il confine che la porterà verso un’età adulta molto più disincantata e scabra. Il romanzo di Pavese, quasi un racconto lungo, attrae il lettore perché non segna mai il passo ma procede spedito nella narrazione. La partecipazione alle vicissitudini della ragazza, a tratti scaltra e disinvolta ma fondamentalmente permeata da un’ansia di provare nuove emozioni che evidenzia in pieno la sua fragilità, è d’obbligo. La città di Torino, protagonista su un piano parallelo ma non meno importante, assiste a questa lenta evoluzione della giovane in silenzio, senza parteggiare per nessuno, offrendo a chi legge un’idea di metropoli non tentacolare ma distratta, asettica. Una palestra di vita in cui non c’è posto per un processo di identificazione empatica.

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Cesare Pavese, La bella estate, ISBN 9788867582303


Come l’arancio amaro di Milena Palminteri

In una Agrigento in pieno boom economico (siamo nei primi anni sessanta) Carlotta, giovane laureata in giurisprudenza che ha messo nel cassetto il suo sogno di diventare avvocato seguendo l’amorevole consiglio del suo mentore, l’anziano zù Pippino, avvocato stimato e familiare acquisito, e impiegandosi nell’Archivio Notarile. Per un insieme di circostanze scartabellando al lavoro dei documenti viene a conoscenza della sua reale origine: è, infatti, figlia illegittima di Sabedda, parte della servitù di notabili di Sarraca e del figlio dei suoi datori di lavoro Stefano, ceduta dalla ragazza madre a Nardina, ricca e di recente divenuta per matrimonio baronessa Cangialosi, che non può avere figli per preservare la sua unione insidiata dai maneggi della suocera che non l’ha mai accettata. La storia, molto articolata, si snoda nel ventennio fascista per arrivare all’epoca presente, collocata dalla sua creatrice vent’anni dopo, alternando a una narrazione contemporanea in corsivo che reca traccia potente dell’indole ribelle di Carlotta, una parallela disvelatrice attenta degli antefatti. Il linguaggio è a metà tra l’italiano e il dialetto siciliano ma comprensibilissimo e vera punta di diamante dell’opera in cui si snoda in armonia e coerenza. L’intreccio, promettente sin dall’inizio, conduce il lettore  alla fine in una tensione che si mantiene costante e non conosce cadute di tono. Con una conclusione che è di riscatto e speranza per Carlotta e per Sabedda, la donna che in silenzio l’ha amata e protetta sino agli ultimi suoi giorni lavorando duramente per la propria emancipazione e quella della sua picciridda.

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Milena Palminteri, Come l’arancio amaro, ISBN 9788830110373

Reading Tips: “La caduta delle dee” di Angela Capobianchi e “Il conte di Ponte Sisto” di Maurizio Milazzo

I miei suggerimenti di lettura per questi mesi estivi al sapore di thriller e di mistero.
Buona lettura a tutti
Lucia

La caduta delle dee di Angela Capobianchi

Angela Capobianchi, avvocato e scrittrice pescarese, è autrice di un corposo romanzo noir per i tipi di Leone Editore in cui le vicissitudini di due famiglie apparentemente differenti per appartenenza sociale si intrecciano le une alle altre dando il la a una storia pregna di vendette e rancori sottaciuti ma anche di profondo istinto materno, da qualche personaggio femminile vissuto forse un po’ sopra le righe, tanto da determinare il destino di più di un personaggio in maniera irrimediabile. Sofia e Silvia, madri per scelta e pronte a difendere la propria prole a qualsiasi costo, hanno ben più in comune l’aver amato in profondità lo stesso uomo rispettivamente in maniera ufficiale e ufficiosa. La tensione e il climax del romanzo sono mantenuti alti grazie allo stratagemma scrittorio dell’autrice di suddividere in micro sequenze narrative la storia, lasciando che il lettore scelga di arrivare alla fine senza concedersi tregue o pause traghettato da un’apprezzabile fluidità scrittoria.

cadutaAngela Capobianchi, La caduta delle dee, ISBN 9788892961067

Il conte di Ponte Sisto di Maurizio Milazzo

Intriso di mistero e incentrato sull’eterna dicotomia tra il bene e il male è anche “Il conte di Ponte Sisto” pubblicato da Infinito Edizioni, ultima opera di Maurizio Milazzo, da sempre impegnato a tutto campo nel sociale a supporto del popolo degli invisibili. A un incipit apparentemente gioioso, rappresentato dalla storia di Mariano, clochard per scelta a seguito di vicissitudini personali che lo hanno costretto ad accantonare un passato di agiatezza, e dall’attenzione del popolo dei suoi ascoltatori che giorno dopo giorno lo segue nei pressi di Ponte Sisto nella narrazione delle sue rocambolesche avventure fa seguito una vicenda di  quotidiana ingiustizia che trasformerà la vita di Fabio, versatile e promettente informatico impiegato part time  in un hotel romano, in un inferno senza precedenti. Fabio perde tutto ma paradossalmente acquista un amico sincero e disinteressato che, credendo in lui, farà di tutto per riabilitarlo agli occhi del mondo e perfino di sé stesso concedendogli una seconda opportunità di rinascita a costo di grandi sofferenze. Il libro è testimonianza del grande amore provato dal suo artefice verso la città eterna, qui dipinta in maniera alterna come madre e matrigna, prodiga e detrattrice, oltre a suggerire con la discrezione e il garbo che da sempre contraddistinguono lo stile narrativo di Milazzo nuove prospettive di vita; spunti di rinascita concreti percepiti in modo vivido e messi nero su bianco grazie anche a un’attività di volontariato da lui portata avanti  con grande consapevolezza e costanza nel corso degli anni.  

conte

Maurizio Milazzo, Il conte di Ponte Sisto, ISBN 9788868617028

Reading Tips: “Lucy davanti al mare” di Elizabeth Strout e “Parole d’Abruzzo” di Daniela D’Alimonte

Questa volta mi occupo di postare le mie impressioni su due libri diversissimi per genere e stile: un romanzo di narrativa contemporanea, “Lucy davanti al mare”, di E. Strout che, confesso, ha colpito la mia attenzione perché è il primo che ho deciso di leggere ambientato nel periodo della pandemia; segue poi un saggio della dialettologa e studiosa della lingua italiana abruzzese Daniela D’Alimonte col suo “Parole d’Abruzzo”, opera estremamente versatile e agevole da affrontare anche per una profana come me.
Buona lettura a tutti e a risentirci presto

Lucia 

Lucy davanti al mare di Elizabeth Strout 

Lucy è una matura e affermata scrittrice americana. Ha da poco perso David, suo secondo marito, e ha due figlie, Chrissy e Becka, che crede entrambe felicemente sposate. La protagonista vive a New York cercando di convivere con il dolore che l’ha di recente colpita, lambita dalle prime e pesanti avvisaglie della pandemia. Il suo primo marito William, scienziato epidemiologo, con estrema lungimiranza e dopo molte insistenze la convince a trasferirsi con lui in una casetta nel Maine sul mare e ad abbandonare la metropoli. Questa sorta di fuga sarà la salvezza per entrambi e rappresenterà una possibilità concreta per ripensarsi e crescere insieme, anche dal punto di vista affettivo-sentimentale, in una routine in cui ogni cosa assume un nuovo significato,  a partire dalla passeggiata giornaliera che entrambi si concedono a orari diversi ciascuno per proprio conto, sfidando l’ostilità della popolazione locale che li vede come potenziali untori, e che contribuisce a farli riflettere su tutti quei nodi esistenziali rimasti per anni stratificatisi sotto una montagna di consuetudine. Il romanzo della Strout è il primo da me letto incentrato sul covid19. La storia condotta in prima persona da Lucy scorre fluida grazie anche all’ottima traduzione di Susanna Basso, procedendo per segmenti narrativi di grandezza variabile in una sorta di “flusso di coscienza allargato” funzionale ai ricordi ma anche al dipanarsi di eventi contemporanei nella vita della protagonista. Con un finale a sorpresa calibrato sugli spunti di riflessione che il libro offre a ciascuno di noi per il tramite dei personaggi (e della loro vita recente) che lo animano.

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