Éblouir Paris: elogio della Bellezza Luminosa al Musée d’Orsay

Ho sempre adorato i “pittori luminosi” e non semplicemente per un mio personale atteggiamento mentale. La Luce è vita, prospettiva, cammino da perseguire sempre. E quindi in visita al Musée d’Orsay a Parigi nei giorni scorsi la prima cosa che ho scelto di vedere è stata d’emblée la prima mostra monografica francese retrospettiva dedicata a John Singer Sargent realizzata  in collaborazione con il MOMA di New York intitolata Éblouir Paris, Abbagliare Parigi. Ed è questa la sensazione che mi ha avvolta con morbida leggerezza nella mia visita: un senso di stupore luminoso sentito attraverso alcune delle opere più significative del primo periodo di questo pittore nato in Italia ma americano sino al midollo. Capace di contaminare con generosità la sua arte  mettendola in bilico tra passato e presente in una prospettiva decisamente sui generis: sua e propria, come soltanto a pochi è concesso.
Qui di seguito troverete alcuni scatti da me realizzati brevi manu con il mio solito POV di pancia: da mera spettatrice di Bellezza, di quella che ti nutre e ti dà la capacità di andare avanti mantenendoti sempre a pelo d’acqua, sguardo rivolto verso il cielo.
Buona lettura e buona visione a tutti

Lucia*  

                                        “Una vita fatta di piccoli e significativi passi” (n.d.r)

"In the Luxembourg Gardens" J. Singer Sargent (1879) 
 
I left my soul there, down by the seaI lost control here, livin' free
(cit.)

"Atlantic Sunset"  (1878)

 

“lasciami in questo incantesimo di Sole” (n.d.r)

"Dans les Oliviers à Capri" (1878)
 
"io e te al di là dello spazio e del tempo" (n.d.r)

Particolare di "The Daughters of Edward Darley Boit" (1882)

“è solo una folata di vento leggero” (n.d.r)

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Ninna Nanna

Il Festival del Tratturo è un evento organizzato annualmente dall’Associazione Tratturo Magno 4.0 nata in terra d’Abruzzo nel 2021 per valorizzare e rigenerare in chiave “green” il territorio e il tracciato dell’antico Tratturo Magno. Questa lunghissima e antica via erbosa in epoca passata univa, infatti, Abruzzo e Puglia collegando L’Aquila al Tavoliere delle Puglie. Costituiva il percorso principale per la transumanza, ovvero il trasferimento stagionale di greggi alla ricerca di pascoli più ricchi specialmente nei mesi freddi in cui era difficile trovare per loro sostentamento ad alta quota. Al Festival è connesso un premio letterario internazionale intitolato “Il Tratturo Magno” articolato in quattro sezioni (poesia, prosa, saggi e progetti) a cui ho partecipato quest’anno con un racconto breve inedito intitolato “Ninna Nanna” classificatosi al secondo posto.
È la storia dell’amore di Ninetta per Giovanni, lei bracciante e lui pastore, appartenenti a due mondi differenti ma complementari uniti nel desiderio di condividere la stessa sorte con entusiasmo e passione.
Buona lettura a tutti

A presto

Lucia  

Ninna Nanna

Tegne na criatura ch’è nu sciore,
sope ssu sciore ascegne na farfalla,
la farfalla te porta argento e iore:
addùrmete, trasore.*

Ninetta baciò tenera il suo bambino. Il giorno in cui aveva conosciuto il padre di suo figlio era d’ottobre e i filari della vigna erano già stati spogliati dei loro grappoli bruni. Le piaceva spizzicare di nascosto qualche acino dalle ceste dei braccianti come lei intenti con pazienza in quell’impresa. Statta soda, era la raccomandazione più frequente di sua madre impegnata con pazienza in quell’arte antica ma lei la ignorava e continuava sfrontata come niente fosse. Ninetta preferiva la vendemmia alla trebbiatura del grano o alla raccolta delle olive. Le piaceva quell’aria festante di fine estate che si diffondeva lenta nella masseria permeando allo stesso identico modo l’operaio e il vignaiolo esperto. I canti e i balli, le tavolate serali a fine coglitura quando l’aria era ancora dolce e i grilli e le lucciole continuavano a percepirsi nel buio della notte. Lo zelo dei lavoranti, intenti a pigiare nei tini l’uva di cui lei, piccolina, riusciva solo a sentire il profumo oltre l’orlo di legno consunto. Era stata una sorpresa quel luccichio di occhi scuri nell’imbrunire della campagna oramai al tramonto. Lei gli si era avvicinata impavida ma l’altro con un dito sulle labbra le aveva chiesto il silenzio. Voleva restare invisibile ai margini di quell’allegria frutto di lunghe giornate di lavoro altrui, lui che nella vita non era contadino ma pastore. E lei l’aveva assecondato. Non aveva detto una parola né lo aveva tradito consapevole che loro due appartenevano a due mondi diversi anche se complementari. Giuva’ aveva fatto la sua comparsa ufficiale alla masseria qualche giorno dopo con una fiscella di ricotta in mano per barattarla con un po’ di pane appena fatto. Il cane legato alla lunga catena di ferro gli aveva ringhiato e poi abbaiato contro ma lui non s’era scomposto avvezzo com’era alla fama che precedeva a torto o a ragione quelli come lui. Gli uomini erano in campagna, impegnati in altre fatiche, le donne a panificare. L’unica ad andargli incontro era stata quella ragazza esile simile a na iattaredda, una gattina, come sua nonna l’appellava spesso con affetto. Pelle luminosa appena scurita dalla vita nei campi, occhi celesti come l’acqua sulfurea di un fiume che scorreva nei pressi del suo paese in Abruzzo e capelli lisci sfuggiti alla treccia. Incredibilmente biondi, schiariti dal sole che il fazzoletto d’ordinanza in testa non era riuscito a contenere. Lei aveva finalmente notato il vigore delle sue braccia fasciate in una camiciola di tela tessuta in casa, i calzoni corti al ginocchio, i capelli neri e ricci lasciati liberi e non nascosti sotto il cappellaccio informe che portava piegato in tasca. Se l’era tolto per lei, per non spaventarla e per rispetto. Un pezzo di roccia in parte ricoperta da incrostazioni di quarzo come quelle che da bambino trovava in collina e poi barattava col figlio del farmacista del paesello natio in cambio di qualche biglia: luccicante sotto il sole, comunissima all’ombra. Quello erano loro due, una pietra anonima lui abbellita da una promessa di splendore lei.

Nisciune penza che, senza li ruve
e spine, non sciurisce la staggiona,
e senza neve, senza lampe e trone,
non po menì lu magge bell’e nnove.*

All’inizio avevano fatto all’amore in modo sommesso, Ninetta e Giovanni, attenti che nessuno scoprisse che erano quasi una cosa sola. Giuva’ era accampato in una casupola con altri pastori e le greggi a poca distanza dalla masseria nei pressi del tratturo. Ma davvero tiene un castello lu patrone toa?, gli aveva chiesto lei mentre con gli occhi azzurri sgranati ascoltava le storie che lui le raccontava su di sé e sulla sua terra. Scine, sì. Giovanni l’aveva guardata quasi in tralice. Quella citiletta che sembrava scomparire al primo soffio di vento si sorprendeva delle parole di uno come lui, diventato pastore per campare sua madre e i suoi fratelli, avvezzo alle intemperie della natura e a quelle degli uomini… Ma la tenerezza era prevalsa e lui se l’era prima mangiata con gli occhi e poi l’aveva stretta a sé. Ninetta era temeraria. Per carpire qualche momento di complicità tra di loro era capace di inventarsi le faccende più disparate: la necessità di cogliere un po’ di cicorietta selvatica nei terreni limitrofi, di cui suo padre, Andune u sangiuvanner, era ghiotto; la fantomatica ricerca di un coniglio scappato dalla garenna lasciata aperta da qualcuno per sbaglio; il giorno di mercato settimanale in paese a cui di recente non mancava mai e che le serviva per incrociarsi quasi per magia col suo innamorato. Quel pomeriggio aveva convinto Mariuccia, sua coetanea, ad accompagnarla nell’oliveto più lontano dalla masseria proponendole di raccattare da terra e dai rami più bassi qualche oliva risparmiata dalla bacchiatura in cambio di una blusetta ancora nuova che cominciava ad andarle stretta e che all’altra piaceva assai. L’amica aveva accettato ma poi aveva storto la bocca quando aveva riconosciuto la figura alta e muscolosa di Giovanni. Aveva però abbozzato limitandosi a sbirciarli a doverosa distanza con un misto di invidia e curiosità mentre qualche oliva la coglieva davvero per riportarsela a casa. Lei lo sposo non lo teneva, ma cionondimeno aveva deciso di essere solidale con la sua compagna, almeno per quella volta. Giuva’ e Ninetta avevano continuato a fabbricare castelli di carta baciandosi con trasporto dietro il muretto di pietra a secco tra l’imbarazzo e il desiderio. Nessuno si era accorto del sopraggiungere di Antonio che voleva vederci chiaro, insospettito dallo zelo mostrato da quella figlia a cui il lavoro di raccattatura non era mai piaciuto.

“Quanno te vòde, mi sento ‘u core ‘mbacce, Nine’.”

“Nun pozze cchiu stà’ senza ‘e te, Giuva’.”

Possibile che si fossero spinti così in là? Possibile. Ma proprio con un pastore doveva finire sua figlia? Con uno come lui un pastoricchio,  arte de mazze, nu frustire bbruzzèse di cui poco si conosceva. Un anno lì da loro e l’anno successivo chissà dove.

Uaglio’, e mo’ t’a ddà piglià

E non era, la sua, una richiesta ma un’imposizione. Ninetta si era alzata di scatto ravviandosi i capelli e lisciandosi la camiciola scrollandosi di dosso polvere e senso di colpa mentre Giovanni le si metteva davanti con fare protettivo sfidando la collera dell’altro trattenuto a stento da un bracciante. Si erano guardati velocemente negli occhi, pieni di lacrime quelli di lei, di orgoglio e ostinazione quelli di lui scambiando una promessa muta prima che il padre incollerito la trascinasse via.

«Nun m’scuordà, Giuva’»

«Te vôi bene, Nine’»

Il mucchietto di olive picchiettate di marrone di Mariuccia era rimasto sotto il tronco di una pianta. Abbandonate in fretta, sarebbero diventate cibo per qualche animale selvatico o qualche uccello. Ninetta sospirò. Non era così che aveva immaginato il giorno della sua richiesta di matrimonio. Sapeva bene che dalla stanzetta che divideva con i suoi fratelli ci sarebbe uscita solo nel giorno delle nozze celebrate di sicuro alle prime luci dell’alba com’era d’uso per quelle come lei compromesse che avevano necessità di riabilitarsi agli occhi del mondo assumendo il ruolo di moglie senza troppo clamore.

La vucelluzza inte lu nide è stracqua,

lu nide è calle mo che sta la mamma,

la mamma l’ha purtate n’atu sciore:

addùrmete, trasore.*

Fare la transumanza con suo marito, il suo mezzo pane, era stato faticoso ma meraviglioso. Ninetta aveva conosciuto la struggente bellezza del cielo stellato sopra di loro, il sapore deciso della micischia masticata come companatico quando non c’era niente di meglio da mangiare. Il tepore degli agnellini appena nati e il freddo penetrante delle ultime folate di strina, come Giuva’ chiamava il grecale. Le era talmente piaciuto da tacere a tutti, marito incluso, il motivo di quella pancia che cresceva sotto la veste dall’orlo sempre più corto. Ma poi si era arresa e quel bambino aveva scelto di partorirlo accarezzata dai primi refoli di favonio attorniata dalle donne di famiglia.

La vi’, la vi’, camina na mureia
sope la nannavicula ‘nnucenta.
Addùrmete, trasore, non è nente:
iè l’ombra mia che te nazzecheia.*

Sua madre lo ninnava quando lei era stanca per il sonno che le mancava per la fame continua di latte e di vita di quel piccino desiderato più dell’aria. E intanto la mala fortuna se ne andava sconfitta da un amore che non temeva né spazio né tempo.

Bbellu comu u sule, stu criatur: brunu cu l’uocchi chiaru, u piantu putenti, le bracce versu l’alte cu li pugni chiusi. Pare ca cerca giustizia pe’ tutti, era stato il commento di Concetta la massara forestiera, sua commare d’anello. Ninetta aveva sorriso pensando che presto padre e figlio si sarebbero finalmente conosciuti e che a lei in dono sarebbe toccato l’abbraccio di un uomo forte e silenzioso che sapeva di aria buona, di sole, di terra e di speranza. Di preziosità segrete solo a lei note.

Lucia Guida

*
Le strofe citate nel racconto, presentate dall’autrice in ordine sparso per questione di coerenza narrativa, sono tratte dalle poesie di Joseph Tusiani “Verne bbone pane megghie” e “Ninna nanna”  e parte della raccolta  Storie dal Gargano, Poesie e narrazioni in versi dialettali (1955-2005) a cura di Antonio Motta, Anna Siani e Cosma Siani, San Marco in Lamis, Quaderni del Sud (2006)

"Popolana abruzzese", Francesco Paolo Michetti (1895)

Recensioni d’antan. “Questo indomito cuore” di Pearl S. Buck

Secondo anno consecutivo come articolista freelance per Mentinfuga, rivista web  indipendente con la prima recensione di un romanzo della scrittrice americana Pearl S. Buck.
Buona lettura a tutti
A presto


RECENSIONI D’ANTAN. “QUESTO INDOMITO CUORE” DI PEARL S. BUCK

Che cosa accade quando in una vecchia libreria domestica trovi libri di grande narrativa straniera nelle loro prime edizioni italiane? Incuriosita provi a leggerli. E scopri che accanto alla traduzione che rispecchia fedelmente gli standard linguistici dell’epoca c’è la freschezza e l’attualità di capolavori senza tempo. Ecco Questo indomito cuore di Pearl S. Buck.
Susanna Gaylord è una talentuosa e giovane ragazza americana. Vive in una piccola città americana di provincia negli anni trenta in una famiglia composta da padre, professore universitario e musicista mancato, madre e Maria, personaggio emblematico, che mal sopporta il fatto di avere accanto a sé una sorella così geniale. Susanna si percepisce da sempre come una outsider nell’ambiente di provenienza pur mantenendo un basso profilo per rendersi bene accetta al suo entourage; il suo sogno è quello di realizzarsi come Donna formando una famiglia con Marco, suo ex compagno di scuola che la adora da sempre, continuando in parallelo a coltivare il dono artistico che possiede da bambina conducendo un’esistenza tranquilla in un contesto urbano in cui poco posto è lasciato ai desideri e alle aspirazioni femminili. Sceglie di diventare madre perché considera la maternità un ulteriore modo creativo per infondere la vita che scorre attraverso le opere in creta che realizza.
Queste velleità trovano grande risonanza in suo marito che pur rendendosi conto della disparità culturale che li separa è ben intenzionato a supportare per quanto possibile sua moglie sino alla fine dei suoi giorni, arrivando a sacrificare la sua vita così come Susanna, quanto meno all’inizio della loro biografia coniugale ha fatto, negandosi opportunità di crescita all’estero.  La perdita del coniuge dà a Susanna, che non vuol restare intrappolata in un’esistenza piatta e incolore, la forza di intraprendere quel viaggio di rifinitura artistica e culturale a Parigi tanto caldeggiato da uno dei suoi maestri, l’affermato scultore Barnes. Susanna parte accompagnata da Giovanna, tata tuttofare dei suoi figli Giovanni e Marzia, con poche sostanze e molto entusiasmo. A Parigi oltre ad affinare la sua arte ha la possibilità di riscoprire la sua femminilità grazie a Blake Kinnaird, americano, artista a tempo perso appartenente a una facoltosa famiglia che se ne innamora e in poco tempo la convince a sposarlo. Rientrata negli Stati Uniti Susanna mal si adegua alla routine tipica di un’agiata moglie newyorkese e a un sentimento in cui riconosce una certa manipolazione da parte dell’uomo che ha accanto. Pian piano riprende la sua attività di scultrice incoraggiata da Michele, giovane pittore estremamente capace anche se non particolarmente convinto della sua abilità, e dal suo antico mentore Barnes ottenendo risultati notevoli sino a diventare un’artista affermata a dispetto di una società che mal sopporta donne dai meriti particolari capaci di vivere di luce propria invece che di luce riflessa. Il personaggio di Susanna è dalla Buck ben tornito; scolpito con la stessa abilità che la sua eroina mette nella forza con cui si cimenta materialmente e simbolicamente nella creazione di statue dalla grandezza imponente ricavate da blocchi di marmo pregiato, mentre il suo secondo marito resta prigioniero altrettanto metaforicamente in un’arte sterile che vorrebbe essere innovativa ma che non vi riesce restando mero esercizio virtuosistico di abilità fine a sé stessa. Susanna, al contrario, fa tesoro di quanto la vita le ha consentito di apprendere sublimandolo in opere in cui con sapienza coniuga tecnica e capacità di interpretare l’anima di chi ritrae creando uno stile suo, personale e particolare, che le consente di ottenere il plauso di critici importanti come Hart e Barnes. Il sacrificio della sua vita privata (divorzierà da Blake riprendendosi quella parte di sé stessa di cui il marito l’aveva privata tentando di adeguarla alla sua idea preconcetta di compagna di vita)  le consentirà di vivere in equilibrio con la propria interiorità, portando con sé soltanto gli affetti più cari: i suoi due figli, la fedele governante, sua madre, Barnes. Quelle persone che in maniera disinteressata le hanno consentito di realizzarsi come Donna ma soprattutto come Persona in tempi in cui la società e le consuetudini avrebbero voluto per lei strade diverse. Con un ritorno felice al punto di inizio di questa storia: la fattoria in cui ha intrapreso i primi passi d’artista ai tempi del primo matrimonio, in un ambiente lontano dalla città in cui è nata abbastanza per continuare a esercitare talento e abilità in una riconquistata prospettiva esistenziale essenziale e feconda.
Lucia Guida

*Letto nell’edizione del 1940 di Arnaldo Mondadori per la collana Medusa

Note biografiche su Pearl S. Buck (ndr)

Pearl S. Buck nasce nel 1892 a Hillsboro, West Virginia. Figlia di migranti di origine europea si trasferisce da bambina con i suoi genitori missionari della chiesa presbiteriana in Cina dove assorbe molto della civiltà del popolo con cui vive a stretto contatto. Nonostante i frequenti rientri in America conserva un legame forte con la Cina ritornandovi più volte dopo aver conseguito negli Stati Uniti la laurea in letteratura inglese che le varrà la docenza in quest’ambito all’Università di Nanchino prima di riparare successivamente in Giappone. Vincitrice dell’ American Academy of Arts and Letters , del premio Pulitzer nel 1932 per il romanzo The Good Earth e successivamente nel 1938 del premio Nobel per la letteratura. Sensibile a tematiche sociali con riferimento soprattutto all’infanzia deprivata dei bambini di tutto il mondo fonda la “Pearl S. Buck International”. Lascia un’eredità letteraria consistente pari a oltre ottanta opere di varia tipologia di cui alcune scritte sotto pseudonimo. Muore nel Vermont nel 1973 di cancro chiedendo che il suo nome venga riportato sulla lapide in caratteri cinesi come omaggio alla sua patria di elezione.

NB: L’articolo in originale è qui 

Thinking and Writing as a Former English Teacher – 1st Lesson

Passano gli anni, cambiano le situazioni e gli stati d’animo ma in fondo in fondo si resta sempre un po’ prof. Il mio primo aforisma da just retired per voi. Con la promessa di rileggerci presto, prestissimo

                                                  Between the True and the False,

there is always a neutral Maybe

                                                               Tra il Vero e il Falso

c’è sempre un Forse

a tinta neutra

L. Guida

Reading Tips: “Tutta la vita che resta” di Roberta Recchia e “La signora Craddock” di William Somerset Maugham

Oltrepassata la boa temporale del ferragosto, momento tradizionalmente statico della quotidianità italiana, due nuove proposte di lettura estiva: “Tutta la vita che resta” di R. Recchia edito da Rizzoli per la collana La Scala e “La signora Craddock” di W. S. Maugham letto nell’edizione proposta dal Club degli Editori  del 1969.
Buona lettura e  presto

Lucia

Tutta la vita che resta di Roberta Recchia

La narrazione della biografia familiare dei Balestrieri e poi degli Ansaldo fa da cornice alla ben articolata storia di Marisa, Mimì per i suoi cari, Stelvio, Betta ed Ettore jr. dipanandosi nell’arco di un trentennio prevalentemente tra Roma e  località limitrofe. Sono storie marcate da ordinario dolore e sofferenza e qualche lieto fine che si impennano quando nell’estate del 1980 Betta, secondogenita di Marisa e Stelvio, viene assassinata in riva al mare a Torre Domizia senza un  apparente perché. Di queste tristi vicissitudini pagherà il prezzo più alto la giovanissima Miriam che si è autoinflitta la croce di portare dentro di sé, con inevitabili e gravi ripercussioni a livello psicofisico, un segreto indicibile in qualità di testimone silenziosa e segreta della morte della sua esuberante e giovane cugina. Una realtà che è da un lato inconfessabile e dall’altro il prodotto di antichi tabu legati a disvalori come quello di una rispettabilità apparente che non dev’essere mai infranta, qualsiasi costo abbia, di cui la matriarca della vicenda, Letizia,  nonna di Betta e Miriam e madre di Marisa, si arroga il diritto di pretendere sacrificando il benessere della sua discendente più giovane. Saranno Leo, ragazzo di borgata, e sua sorella Corallina a ripristinare l’ordine offrendo a Miriam una profferta concreta e amorevole di rinascita per una vita futura piena di amore e considerazione maggiori. Trama e intreccio sono dosati con sapienza dall’autrice e conducono il lettore con mano salda sino alla fine del romanzo, motivandolo a portarne con agio a termine  la lettura.

Tutta la vita che resta,  Roberta Recchia, ISBN 9788817183499

La signora Craddock di William Somerset Maugham

In un’Inghilterra dei primi anni del secolo scorso una giovane ereditiera, Berta Ley, cerca di fare buon viso a cattivo gioco alla noia della sua routine imbastendo per sé stessa un vero e proprio romance amoroso nella tranquillità eccessiva e soporifera della campagna del Kent. Da poco proprietaria per lascito testamentario di suo padre di Court Leys si convince che l’uomo per lei ideale possa essere Edoardo Craddock, suo antico compagno di giochi e figlio di un ex dipendente della tenuta. In questa parvenza di realtà costituita più dai desiderata e dalle proiezioni della ragazza che da una concreta e plausibile evidenza dei fatti nascono un amore e poi un matrimonio destinati ben presto, dopo i primi anni di collaudo del ménage, a rivelarsi come una congerie di idee, gusti, azioni che più che legare due persone definiranno con nettezza i contorni di entrambi su piani decisamente paralleli destinati a non incontrarsi mai. All’iniziale entusiasmo di Betta subentrano una forte delusione e la certezza di aver scelto come compagno della sua vita un uomo di pochissimo spessore, culturalmente assai distante dalla sua sensibilità e tuttavia ben deciso di servirsi a suo piacimento, (sia pure con l’attenuante di aver saputo moltiplicare la fortuna economica della sua consorte che lo ha reso unico amministratore dei suoi beni) di quell’occasione di benessere materiale regalatagli da un’unione assai conveniente. La sottile ironia di Somerset Maugham è il fil rouge che percorre l’intero romanzo attraverso la tecnica del narratore onnisciente propendendo forse con maggior empatia verso  la protagonista più che verso il consorte di quest’ultima descritto come amante della propria opinione non per forza di carattere quanto piuttosto per una sorta di ottusità mentale che lo porta a glissare su tutto ciò che non aderisca perfettamente al suo sentire. Una storia sull’incomunicabilità umana e su quanto sia fallace e azzardato innamorarsi dell’amore rischiando, quando ciò accade, di essere condotti verso scelte di vita profondamente infelici.

La signora Craddock,  W. S. Maugham, edizione del 1969 a cura del Club degli Editori

Thinking and Writing as an English Teacher – 23rd Lesson

The first impressions we get about a person are the most accurate.

We should

just follow them instead of making reason prevail over instinct.


             Muchacha en la ventana, Salvador Dalì (1925)

Le prime impressioni che riceviamo di una persona sono le più accurate.

Dovremmo semplicemente seguirle invece di far prevalere la ragione

sull’istinto.

L. Guida

Reading Tips: “La bella virtù” di Marisa Salabelle e “Via dalla pazza folla” di Thomas Hardy

La bella virtù di Marisa Salabelle

Uno spaccato familiare fornito attraverso punti di vista e di riferimento diversi è al centro del romanzo di Marisa Salabelle “La bella virtù”. In un arco temporale di svariati decenni a cavallo tra il secondo dopoguerra e il primo ventennio del terzo millennio i componenti di una medesima famiglia articolano i propri ricordi, vissuti o ricevuti tramite narrazione da terzi, animati da sentimenti contrastanti: di profonda nostalgia per Felice, anziano professore universitario, di insofferenza contenuta per Maria Ausilia moglie devota di questi; di filiale accondiscendenza verso entrambi per Carla, loro figlia, e di scoperta per Kevin, figlio di quest’ultima e giovane laureato alla ricerca di un filo conduttore comune che possa legare in maniera coerente i rami dell’albero genealogico di famiglia nell’attimo in cui decide di farlo diventare oggetto della sua tesi magistrale. Il racconto si snoda in punta di penna spaziando tra i conflitti di Felice, sensibile al richiamo della vita ma sempre pronto a rendere il suo senso di gratitudine esistenziale per quanto ricevuto in un’ottica marcatamente religiosa; le rivendicazioni di Maria Ausilia, colonna portante di questo nucleo familiare e femminista ante litteram pentita, divisa, come per certi versi accade anche a sua figlia Carla,  tra la voglia di spiccare il volo in autonomia e il senso del dovere che la tiene legata a colui che ha scelto come compagno. E infine Kevin, personaggio dissacrante, capace di mantenersi distaccato per analizzare con impegno e indubbia obiettività le vicissitudini dei suoi avi, qualcuno più famoso di qualcun altro, senza concedersi il lusso di parteggiare per nessuno. Il romanzo, seguito de “Gli ingranaggi dei ricordi” procede in maniera fluida conducendo agevolmente il lettore verso l’ultima pagina sino a fargli prefigurare un ulteriore attesissimo prosieguo narrativo.


Marisa Salabelle, La bella virtù, ISBN 9788868515386

Via dalla pazza folla di Thomas Hardy

Due giovani ambiziosi cercano di farsi strada nel mitico Wessex hardyano (attuale Dorset); il primo, Gabriel Oak, è già un abile fattore quando incontra Batsheba Everdere, orfana povera e di belle speranze. I due si piacciono ma Batsheba fatica a impegnarsi e ad accettare le profferte serie dell’uomo che a lei vuol votarsi per il resto dei suoi giorni. Il mondo vittoriamo vorrebbe dipingere la ragazza come una volubile coquette che ama irretire gli uomini che le si avvicinano senza mai concedersi, ma Batsheba è molto di più: è pervasa da una gran voglia di affermarsi come donna dal punto di vista professionale a mo’ di suffragetta in anticipo sul flusso della storia. Il destino sembra quasi darle una mano nell’attimo in cui riceve in eredità da uno zio che ha intravisto in lei capacità e intelligenza una fattoria. Diversa sorte, invece, per Gabriel che per circostanze avverse perde il suo gregge ed è costretto a tornare alla sua antica attività di pastore oramai privo dei suoi possedimenti. Batsheba va avanti per la sua strada che però si incrocia più di una volta con quella del suo antico innamorato che le resta accanto anche quando lei sceglie di legarsi al sergente Troy, un uomo che non la ama perché vive nel ricordo di un antico affetto per un’altra donna, la dolce Fanny, da lui ingiustamente trascurato e poi sublimato dal senso di rimorso che lo attanaglia. In questo circolo amoroso sui generis trova posto anche l’innamoramento del fittavolo Boldwood  per la Everdene che lo ha reso umano e vulnerabile inviandogli per gioco un valentine. A lei il signorotto di campagna si legherà ossessivamente per la vita sino a compromettersi irrimediabilmente. Nell’eterno gioco delle parti trova giusta collocazione anche il folto microcosmo umano rurale rappresentato dai dipendenti della signora Everdene/Troy che per la loro padrona, tuttavia, non hanno mai parole di biasimo riconoscendone  la grande capacità imprenditoriale e l’impegno profuso verso di loro sin dall’inizio perché la tenuta ottenuta in gestione potesse fruttare al meglio conservando la stabilità lavorativa di ciascuno di essi. Un romanzo evergreen di grande impatto capace di ispirare ben due versioni filmiche e un serial televisivo, in cui Thomas Hardy, sapiente architetto nella narrazione e nelle suggestive descrizioni di ambientazioni e territori da lui lungamente amati, si riconferma grande e abile osservatore dell’animo umano scandagliato sino alle pieghe più profonde e insondabili.

Thomas Hardy, Via dalla pazza folla, ISBN 9788811580072

Per non dormire, per non morire (cit)- Appunti di viaggio nella domenica del dopofestival di Sanremo 2025, il post social

Cari amici di pagina, per voi, oggi due righe di notazioni di cronaca di pancia sulla kermesse canora più amata dagl’italiani dal mio personalissimo (e altrettanto opinabile) punto di vista.
A rileggerci presto

Quando al festival di Sanremo vince una canzone che di primo acchito non ha suscitato particolare interesse da parte mia la cosa che d’abitudine faccio è di andare a riascoltarla a mente fredda. Privilegiando l’esecuzione sanremese, e non quella abbinata a video curatissimi della casa discografica di rappresentanza, per rinfrescarmi un po’ la memoria.
Così come mi rileggo, se l’ho già letto, oppure inizio a farlo per un Premio Strega o un qualsiasi altro libro in odore di vittoria nei concorsi letterari che contano, quelli che fanno fino e che-se-non-ci-partecipi-non-sei-nessuno.
Da ragazza nel mio paese d’origine del profondo sud con le sue tante contraddizioni e le sue mille e una criticità all’ombra di sette meravigliosi antichi campanili che svettano nel centro storico, il festival di Sanremo faceva sempre molta sensazione. E non semplicemente perché eravamo negli anni ottanta e quella sanremese era una finestra aperta verso un mondo lontanissimo dai miei desiderata di allora. Per molti come me era un’occasione unica e rara per ascoltare dal vivo i Big nazionali e internazionali senza dover aspettare la serata conclusiva del Festivalbar, leggere e rileggere su TV Sorrisi e Canzoni i testi dei vari partecipanti. Scimmiottare il look e gli atteggiamenti delle cantautrici e artiste canore che sentivi più nelle tue corde; il vezzo di attorcigliarmi attorno al collo un foularone lungo come Alice/Carla Bissi mi è rimasto ancora e confesso di avere a lungo tentato di copiare il make up sapiente di Anna Oxa senza mai riuscirci in maniera perfetta: io le percepivo entrambe, sia pure dai due lati opposti della barricata, come donne di spettacolo all’epoca assai trasgressive e forse un filino in linea con le mie idee esistenziali di fondo dalla mia prospettiva di adolescente idealista persa. Non ho mai avuto la pretesa di fare l’opinion leader precipitandomi qui o altrove a dare la mia personale lettura (o forse dovrei parlare di interpretazione, visto che l’emotività è il fil rouge che anche in circostanze simili mi rappresenta sempre con fedeltà?) di questa o quella canzone. Nella stessa misura in cui ultimamente tengo per me la magia di un bel film o la particolarità di una lettura interessante: se mi hanno davvero fatta stare bene, perché metterli in piazza a beneficio di tutti? Nel momento in cui sono diventati piccoli tesori che mi hanno arricchita e che poco incidono sull’idea di ciò che voglio apparire in pubblico su un social frettoloso e distratto come Fb? Ma torniamo pure a Sanremo che è poi la ragione precipua di questo post; quest’anno l’ho potuto vedere da cima a fondo, complice anche qualche giorno di stop che mi sono presa per ovviare a strascichi influenzali che non mi vogliono abbandonare (saranno forse messaggi subliminali per indicarmi di trasferirmi in luoghi lontani, più miti e forse più congeniali ai miei acciacchi di gioventù?). Non mi sono trincerata in improbabili torri eburnee, più o meno autorevoli, contrassegnate da cartelli grandi come case recanti a chiare lettere affermazioni tranchant del tipo “No, grazie, Sanremo non mi interessa”. Baluardi del “non seguo quindi esisto” che sinceramente non mi appartengono, non più. Che ci piaccia o no il Festival della Canzone Italiana è Italia stessa, con le sue molte contraddizioni, i suoi misteri della fede, i suoi coup de theatre disseminati nell’arco delle cinque giornate. Le sue polemiche, grandi e piccine. Le ripicche di questa o quell’influencer a caccia di patine scintillanti lucidate e rinnovate. Il gusto tutto italico di insabbiare questioni gravissime, non semplicemente di costume e società, che sono rimaste lì, all’esterno del teatro Ariston. E che ci hanno pazientemente aspettato per continuare a ricordarci come le nostre piccole storie di spettatori più o meno petulanti od ossequiosi contino davvero poco: in questo caso l’arco dei tre minuti e trenta secondi circa di “Balorda Nostalgia”, ultimo casus belli di chi “per non dormire per non morire” si affanna a dire “ci sono anch’io”.
Lucia Guida

 

Alice exulting on the stage of the 31st Sanremo Music Festival

Ph. Credit: Mondadori via Getty Images

Continua a leggere “Per non dormire, per non morire (cit)- Appunti di viaggio nella domenica del dopofestival di Sanremo 2025, il post social”

Sei mesi di “Oltre la porta socchiusa”, Arkadia Editore:  le prime recensioni

A sei mesi circa dall’uscita di “Oltre” mi è sembrata una cosa bella menzionare tutte le recensioni comparse sui blog letterari e sulle riviste in web a cui il mio ultimo romanzo è stato a oggi sottoposto.  Lo faccio con l’orgoglio di chi presenta il suo ultimo nato ma anche con la consapevolezza di quanto il processo scrittorio sia un fenomeno complesso e in continuo divenire seguendo di pari passo la crescita personale, ma anche umana, dell’autore che se ne è reso protagonista. Partendo da questo presupposto per me indispensabile ho pensato di proporvi per ciascuna di esse un piccolo stralcio; lasciando a voi, se ne avete tempo e voglia, di continuare a leggerla per intero sulla relativa pagina di riferimento
Saluti e baci a tutti

Lucia

Oltre la porta socchiusa, di Lucia Guida, Arkadia editore 2024, recensione di Daniela Domenici su Daniela e Dintorni

 Sono appena riemersa dalla lettura di questo splendido romanzo di Lucia Guida che ho divorato in un soffio e di cui voglio dirvi qualcosa.

In primis complimenti per la perfetta caratterizzazione della principale protagonista, Alice, e poi Carlo e Paride, la sorella Betty, il cognato Davide, il nipote Matias e l’amica Irene, ognuno/a ha un ruolo di rilievo, non sempre positivo, nella (sua)  vita (…) Oltre che un romanzo di crescita psicologica è anche un po’ giallo (…)


Link:
https://danielaedintorni.com/2024/07/12/oltre-la-porta-socchiusa-di-lucia-guida-arkadia-editore-2024-recensione-di-daniela-domenici/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR3CsNchDhfrZcWJbE4viTwsZZ6_fCORZQGml4MXk1ju7SoR0cEwR0KEmnc_aem_Aeb-10OnRVvErgCDeOYmLg

Oltre la porta socchiusa- Lucia Guida Arkadia 2024, recensione di Connie Bandini su Magia nelle Parole

Un romanzo intenso che racconta la vita, le sue prove e le sorprese che sa riservare. Possono essere gradite o meno, momenti piacevoli o completi disastri, ma permettono a chi le vive di guardare alla propria esistenza con occhi nuovi, con uno sguardo diverso, capace di individuare l’essenziale e ciò che, davvero, può far stare bene.


Link:
https://magianelleparole.wordpress.com/2024/08/15/oltre-la-porta-socchiusa-lucia-guida/?fbclid=IwY2xjawE8_BBleHRuA2FlbQIxMQABHR2ILLUYBQzjwXcJlBmG4BSWC8WpxHcfBoY3DNgMqHfGTHRcgIqxqyv77w_aem__2gZuhdJejv7YUTxNSPgGA

 “Oltre la porta socchiusa” su Libroguerriero – recensione a cura di Paola Rambaldi su Libroguerriero

Un bellissimo romanzo sulla ricerca di noi stessi e del nostro destino. Una storia in cui ritrovarci, leggetela!

Link:
https://libroguerriero.wordpress.com/2024/09/02/oltre-la-porta-socchiusa-di-lucia-guida-sidekar/

Oltre la porta socchiusa,  Lucia Guida – recensione a cura di Stefano Carnicelli su Il Cielo Capovolto

 Nel romanzo emergono quelle dipendenze affettive, spesso tossiche, in grado di pregiudicare i rapporti umani. Ci sono le ossessioni, quelle che appartengono all’Uomo… l’idea di dominio, di possesso assoluto. La delicata narrazione di Lucia Guida dona spazio ad ogni aspetto, anche a quelli tipicamente interiori che accompagnano le esistenze dei vari attori. Non si può che apprezzare il bel condensato di elementi letterari presenti nel testo: il giallo, i risvolti umani e psicologici, i destini, i tormenti… nel finale, anche una sorta di favola moderna, per nulla scontata, che fa riflettere sul vero senso della vita.

Link:
https://www.ilcielocapovolto.info/oltre-la-porta-socchiusa/?fbclid=IwY2xjawFOL5JleHRuA2FlbQIxMQABHdtVwf1bpEqWbS04Q9mUjc4-WBWG0Os9eUIN_uCSw2L8wdMUq-EpR_UpfQ_aem_w-nf-1RWtw46CdKWbx8muw

 

Oltre la porta socchiusa. Intervista a Lucia Guida a cura di Antonio Fresa su MentInFuga

L’ultimo romanzo di Lucia Guida – Oltre la porta socchiusa – rappresenta un passaggio importante nella produzione di un’autrice che sa rivolgere la propria attenzione a temi e situazioni centrali nelle nostre vite e sa raccontarli con un tono pacato, misurato e senza le “urla” costanti delle nostre forme di comunicazione più diffuse.
La parola letteraria, levigata da Lucia Guida con perizia e cura costante, riesce a offrire al lettore una dimensione altra e riflessiva da cui osservare gli eventi della vita e seguire il ritmo del respiro e della coscienza.
Una storia all’apparenza semplice mostra, nella piccola fatica quotidiana dell’esistere, quanto siano importanti i mutamenti, i progetti e, infine, le speranze(…)


Link:
https://www.mentinfuga.com/oltre-la-porta-socchiusa-intervista-a-lucia-guida/?fbclid=IwY2xjawFOMhBleHRuA2FlbQIxMQABHWQ3hyv2EHUSmJCDZFCJlgBWTpoBNuERG0diRX5MH7cycVtsD5wNvXDbjw_aem_mTKUen94yl4hIsZgZlktKQ

 

Recensione: “Oltre la porta socchiusa” di Lucia Guida, Arkadia a cura di Anna Calì su La Bottega del Libro


(…) Un libro che è centrato maggiormente sulla vita, ma anche sul destino e sulla ricerca della felicità. Tre argomenti diversi tra loro, che a volte hanno delle connessioni, eppure sono capaci di creare subbuglio e difficoltà nell’essere umano. Quant’è difficile a volte cercare la felicità? Ma poi, esiste? (…) Un romanzo introspettivo e soprattutto ben descritto. Ottima, infatti la descrizione della protagonista principale. Ben delineati anche i personaggi secondari come Carlo e Paride. Uno stile fluido, coinvolgente e che ti mette dinanzi a un bivio: aprire o chiudere quella porta socchiusa? Ed è proprio questo il bivio in cui si troverà la nostra Alice.

Link:
https://www.labottegadeilibri.it/recensione-oltre-la-porta-socchiusa-di-lucia-guida-arkadia/recensione/?fbclid=IwY2xjawFzRXBleHRuA2FlbQIxMQABHQWR6Jcgz8Z1bXivwMZTfdNZYkRt0A2qK_MwvP0smOFPZiaIeKMydgmzTw_aem_fRLnVqChEExc3wc6FMRDcQ

Recensione: Lucia Guida – Oltre la porta socchiusa, a cura di Katia Ciarrocchi su Lib(e)ro Libro
Oltre la porta socchiusa mette in evidenza l’abilità di Lucia Guida nel tratteggiare con finezza e realismo le sfumature dell’esperienza umana. Con uno stile, semplice ma avvolgente, guida il lettore attraverso un intreccio ben costruito, che alterna punti di vista e svela gradualmente il mondo interiore dei personaggi. Guida dimostra una notevole capacità nel dosare tensione narrativa e introspezione, mantenendo il lettore coinvolto senza mai eccedere o cadere nel banale, confermandosi come una voce interessante e promettente nel panorama letterario italiano.

Link:
https://www.liberolibro.it/lucia-guida-oltre-la-porta-socchiusa/?fbclid=IwZXh0bgNhZW0CMTEAAR0C_f93NwoPGj3QNeKcTS8PkPl-_l657_8oUcPBONtHsTOQVVxEfEGYRAs_aem_jxyP_GZbUsPga0_4N80_lw

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       Ph. Credit: Luciano Onza

Anno Nuovo, Interviste Nuove: “Oltre la porta socchiusa” ospite di Segnalazioni Letterarie

Con il 2025 riprende il paziente lavoro di propaganda del mio ultimo libro, il romanzo di narrativa “Oltre la porta socchiusa” pubblicato da Arkadia Editore a luglio 2024. La cosa bella è stata per me essere la prima autrice a inaugurare il nuovo ciclo di interviste in diretta on line della pagina fb Segnalazioni Letterarie dedicata ai libri a tutto tondo e nata dall’intuizione felice di Alberto Raffaelli. Nell’intervista, che qui vi propongo in differita, ho parlato di me come autrice e di scrittura, lettura, editoria

Buona visione a tutti